Guardi un filmato, un concerto di musica.
Visi raggianti, occhi persi di gioia, labbra aperte in sorrisi.
Braccia che si alzano al cielo in estasi e gambe che ballano.
Guarda la data: 2010.
Dove saranno quelle persone?
Dove sarà finita quella gioia?
Cosa staranno facendo?
La vita sarà stata generosa?
Come in quei momenti.
Alcune ragazze avranno avuto un figlio.
La loro vita sarà stata modificata di molto.
Forse è stato il loro ultimo concerto.
Senza pensieri. Senza responsabilità.
Forse quello era il loro primo concerto e stanno ancora danzando.
Con il sorriso sulle labbra e la gioia nel cuore.
La spensieratezza come spirito della vita,
Altre saranno al lavoro. Gli occhi bassi.
Con la speranza di trovare la persona giusta.
Con il proprio futuro nei pensieri.
E le mani che lavorano, bagnate, arrossate, laccate, agili, stanche.
Chi siete? Chi siamo?
Dove siamo ora mentre un tempo eravamo la?
Vorresti tornare? Vorresti rimanere in quei momenti?
Ti fa paura il futuro? E' meglio un passato gioioso.
Non sta a noi decidere. Neppure volere.
Siamo esposti al vento che ci torce e ci solleva.
Dove vai? Dove sei?
E io ...
Soundtrack: T in the Park - Paolo Nutini
Free-wheeling space for Hipsters, Hippies and FlowerPower sons. Music, art, style and thoughts of an old, but always live, way of life.
Tuesday, January 28, 2014
Monday, January 27, 2014
Basho e la metamorfosi
"Il verme del cavolo
trema al vento d'autunno
e mai si cambia in farfalla."
Riprendo il discorso del potenziale che è in noi e delle contingenze che influiscono.
Considerando che le contingenze sono fatti, luoghi, tempi e uomini.
Vale a dire, in ognuno esiste un qualcosa in fieri che non è detto si renda manifesto.
Dipende da qualcosa di esterno a lui. Un qualcosa che può favorire o impedire.
L'uomo ha però la possibilità di lottare, a differenza del verme del cavolo.
Per diventare ciò che si sente di essere.
Deve solo considerare di volerlo a tutti i costi.
Non è detto che ci riesca.
Deve però tentare. Non essere solo ubbidiente.
Deve proporsi, imporsi, con la forza del rispetto, dell'umiltà, dell'onestà e dell'intelligenza.
Un risultato in tutti i casi ci sarà. Bello o brutto, ci sarà.
E questo importa. Essere se stessi.
Soundtrack: Philip Glass - Metamorphosis
trema al vento d'autunno
e mai si cambia in farfalla."
Riprendo il discorso del potenziale che è in noi e delle contingenze che influiscono.
Considerando che le contingenze sono fatti, luoghi, tempi e uomini.
Vale a dire, in ognuno esiste un qualcosa in fieri che non è detto si renda manifesto.
L'uomo ha però la possibilità di lottare, a differenza del verme del cavolo.
Per diventare ciò che si sente di essere.
Deve solo considerare di volerlo a tutti i costi.
Non è detto che ci riesca.
Deve però tentare. Non essere solo ubbidiente.
Deve proporsi, imporsi, con la forza del rispetto, dell'umiltà, dell'onestà e dell'intelligenza.
Un risultato in tutti i casi ci sarà. Bello o brutto, ci sarà.
E questo importa. Essere se stessi.
Soundtrack: Philip Glass - Metamorphosis
Sunday, January 26, 2014
Nuvole tra gli alberi
Un albero senza foglie non è al suo meglio.
Ma se guardo una nuvola e cammino,
quando passo davanti ad un albero spoglio
continuo a vederla e a goderne la bellezza.
Un albero spoglio fa intrevedere cose belle.
Soundtrack: Lavinia Meijer - Metamorphosis
Ma se guardo una nuvola e cammino,
quando passo davanti ad un albero spoglio
continuo a vederla e a goderne la bellezza.
Un albero spoglio fa intrevedere cose belle.
Soundtrack: Lavinia Meijer - Metamorphosis
Who do you think you are ?
Ci si guarda intorno. Siamo circondati da altri. Sguardi, voci, gesti. Quanti li capiamo e quanti ci restano estranei? In ogni caso, giudichiamo. Ma, come giudichiamo? Quanto crediamo di essere prevalentemente intelligenti e validi. E quanto lo credonmo lo stesso gli altri?
Guardo una famiglia davanti a me. Stesso giorno, stesso posto, stesso locale, stesso obiettivo. Mangiare in una pausa durante lo shopping in un grande outlet. Padre, madre e figlia. Un padre non giovane che si guarda intorno, incrocia il mio sguardo, forse si domanda perché io lo stia osservando.
Modesti nei vestiti, modesti nei gesti. Non sembra un uomo dai risvolti sociali importanti. Forse un ruolo operativo. Modi umili e sguardi non arroganti. Penso che nella sua umiltà di comportamento, ha però un ruolo riconosciuto nella propria famiglia.
La moglie e la figlia lo interpellano, lo ascoltano quando brevemente parla. Dice la sua e viene seguito. Non dico condiviso, ma almeno ascoltato con attenzione. Una famiglia semplice. E immagino lui al lavoro. Sotto un capo. Uno dei tanti che credono di essere sempre nel giusto. Di essere gli unici tenutari di: intelligenza, acume, perspicacia e conoscenza e diritto. Uno dei tanti miseri di oggi.
Un oggi in cui si magnificano le capacità di miserabili che sanno solo approfittarsi degli altri, apparire senza essere, sfruttare e parlare (sempre parlare, qualsiasi cosa pur di parlare), disprezzare e non cosiderare, prevaricare e non condividere. Figuriamoci che li mandano pure in televisione a condurre, ad insegnare ad essere così (secondo i format televisivo dove ci sono giudici arroganti, maleducati e persino violenti).
Ecco, immagino quest'uomo che viene trattato male, magari giudicato incapace persino di pensare, di agire secondo intelligenza. Eppure, anche lui ha una famiglia. Un ruolo. Una dignità. E mi trovo a pensare quanto maldestri siamo nel rapporto tra noi. Quanto spesso pensiamo di essere gli unici ad avere le idee giuste!
Ma, chi crediamo di essere. Mangiamo, dormiamo, siamo impresentabili ed imbarazzanti come tutti. Dico, come tutti. Ognuno di noi ha visceri interni in cui fermenta il cibo. Emettiamo rumori, odori, secrezioni, e così via, tutti. Nessuno escluso. E, da morti, ci sciogliamo e puzziamo tutti nello stesso modo. I nostri occhi si affossano. I nostri muscoli si avvizziscono e il nostro cervello già dopo 20 minuti è in fase di decomposizione.
Questo dovremmo considerare. Chi e cosa veramente siamo. Uniti in due fasi del destino: la nascita e la morte. Irrevocabilmente. Uniti in tutti i momenti che il nostro corpo materiale impone. Nello stesso modo. Tutti uguali.
E allora? Chi ci crediamo di essere?
Soundtrack: Amy Dickson - Philip Glass' Violin Concerto No 1 (1st movement)
Guardo una famiglia davanti a me. Stesso giorno, stesso posto, stesso locale, stesso obiettivo. Mangiare in una pausa durante lo shopping in un grande outlet. Padre, madre e figlia. Un padre non giovane che si guarda intorno, incrocia il mio sguardo, forse si domanda perché io lo stia osservando.
Modesti nei vestiti, modesti nei gesti. Non sembra un uomo dai risvolti sociali importanti. Forse un ruolo operativo. Modi umili e sguardi non arroganti. Penso che nella sua umiltà di comportamento, ha però un ruolo riconosciuto nella propria famiglia.
La moglie e la figlia lo interpellano, lo ascoltano quando brevemente parla. Dice la sua e viene seguito. Non dico condiviso, ma almeno ascoltato con attenzione. Una famiglia semplice. E immagino lui al lavoro. Sotto un capo. Uno dei tanti che credono di essere sempre nel giusto. Di essere gli unici tenutari di: intelligenza, acume, perspicacia e conoscenza e diritto. Uno dei tanti miseri di oggi.
Un oggi in cui si magnificano le capacità di miserabili che sanno solo approfittarsi degli altri, apparire senza essere, sfruttare e parlare (sempre parlare, qualsiasi cosa pur di parlare), disprezzare e non cosiderare, prevaricare e non condividere. Figuriamoci che li mandano pure in televisione a condurre, ad insegnare ad essere così (secondo i format televisivo dove ci sono giudici arroganti, maleducati e persino violenti).
Ecco, immagino quest'uomo che viene trattato male, magari giudicato incapace persino di pensare, di agire secondo intelligenza. Eppure, anche lui ha una famiglia. Un ruolo. Una dignità. E mi trovo a pensare quanto maldestri siamo nel rapporto tra noi. Quanto spesso pensiamo di essere gli unici ad avere le idee giuste!
Questo dovremmo considerare. Chi e cosa veramente siamo. Uniti in due fasi del destino: la nascita e la morte. Irrevocabilmente. Uniti in tutti i momenti che il nostro corpo materiale impone. Nello stesso modo. Tutti uguali.
E allora? Chi ci crediamo di essere?
Soundtrack: Amy Dickson - Philip Glass' Violin Concerto No 1 (1st movement)
Una parola ...
Una parola - una luce, un volo, un fuoco,
getto di fiamme, parabola di stelle -
e poi di nuovo il buio senza fine,
nel vuoto spazio intorno al mondo e all'io.
(Gottfried Benn, 1941)
Soundtrack: Rokia Traoré - Roots - live au 104
Tuesday, January 14, 2014
Anna Politkovskaja - Doveroso rispetto alla coerenza e al coraggio
« L'unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede. » |
(Anna Politkovskaja) |
UNA DONNA SOLA
L’estate scorsa è morto il nostro cane – vecchio, vecchissimo.
Martin, un doberman di quindici anni, aveva vissuto a lungo per gli
standard della sua razza. Era un cane magnifico che ci aveva difeso con
onore per molti anni: durante il caos della perestrojka e poi nel
periodo di banditismo totale, mentre si accumulavano capitali e
crollavano le libertà.
Con lui ci sentivamo come dietro a una schiera di guardie del corpo: adorava i nostri amici, individuava immediatamente i malintenzionati e li cacciava senza esitazioni, però non mordeva mai nessuno. Sotto gli occhi di Martin litigavamo, ci riappacificavamo, ci ritrovavamo, ci lasciavamo.
E lui ci amava disperatamente, a volte sembrava sopraffatto da questo amore. Martin ha smesso di servirci solo negli ultimi 45 minuti della sua vita, quando si è sdraiato e ha perso conoscenza. Allora siamo stati noi a servire lui: gli abbiamo tenuto le mani sul cuore finché ha smesso di battere.
Poi ci sono stati sei mesi di tortura. Vivere senza un cane era come vivere senza una capsula dell’amore ad azione continua impiantata sotto pelle.
Ed ecco che i miei figli hanno trovato su internet un annuncio fantastico. Da un lato questo cane non somigliava a Martin – per noi era un punto irrinunciabile. Dall’altro non aveva il pelo lungo – anche questo era importante, eravamo abituati così. Infine, secondo le informazioni raccolte, era un animale socievole e affettuoso.
Un cucciolo bloodhound. Per chi non lo conosce è un cane con le zampe grosse, gli occhi perennemente tristi e le orecchie lunghe.
Andiamo al negozio. La commessa continua a ripetere: “Questo maschietto è semplicemente una meraviglia. Il migliore della cucciolata”. Il “migliore” non smette un attimo di fare pipì. Ci guarda e fa subito pipì. Però è tenerissimo, giocherellone – prendetemi, vi prego. E questo decide tutto: implora da stringere il cuore.
“Quattro mesi. Ha ancora diritto di far pipì”, ripete la donna con voce stridula.
A casa lo abbiamo ribattezzato Van Gogh, al posto dello stupido Hagard che gli aveva affibbiato la venditrice. E cominciamo a vivere insieme. Ben presto è chiaro che Van Gogh non fa pipì in continuazione: è una vera e propria macchina per la minzione. Appena vede un estraneo, ecco una pozzanghera. Che fare?
Abbiamo smesso di invitare esseri umani in casa (eccetto i parenti), sperando che l’abitudine gli sarebbe passata. In quanto ad alzare la voce di mezzo tono – non dico gridare, per carità, ma appena un lieve aumento di volume – neanche a parlarne: subito un fiume.
Appena fa uno schizzetto, Van Gogh comincia ad agitarsi per la paura, si nasconde o, peggio, lo lecca, cercando di eliminare le tracce. Portarlo fuori? Van Gogh, ce ne accorgiamo subito, odia la strada, tutto gli fa orrore. Il momento migliore della passeggiata è quando varchiamo il portone, l’ascensore, la soglia del nostro appartamento. Appena riprendiamo la via di casa rizza subito la coda, felice. La nostra casa è diventata la sua fortezza.
Tutto in vendita
Nella clinica veterinaria ci dicono che non ha quattro mesi, ma almeno cinque, e ci chiedono: “Lo sapete perché la commessa gli ha abbassato l’età?”. “Perché?”. “Per convincervi a prenderlo. I cani grandi non li vuole nessuno – spesso hanno già imparato qualcosa, e non è detto che sia qualcosa di buono”.
Ed è proprio così. I veterinari hanno anche trovato della renella nella vescica di Van Gogh. Le analisi sono costate più di dodicimila rubli. Più altri duemila per gli antibiotici per curare l’infiammazione. Secondo il dottore, in età così giovanile (negli esseri umani e nelle bestie, la renella e i calcoli sono appannaggio degli anziani) il problema è provocato da una cattiva alimentazione imposta da molti allevatori e commercianti.
Proprio quando il cucciolo va nutrito bene, gli danno quello che capita e così gli alterano il metabolismo. Ma l’essenziale è smerciarlo, confondere le idee ai futuri padroni e tanti saluti. È gente che finge affetto, insiste il dottore, ma in realtà è nemica degli animali, rovina i cani per sempre.
Per-sem-pre. È stato l’avviso numero uno. Intanto era chiaro che Van Gogh si aggrappava a noi come a una zattera. Aveva sempre più paura di chiunque entrasse in casa. E il terrore per gli estranei cresceva con lui – ormai era grande e grosso, e i suoi tentativi di nascondersi dietro di noi diventavano maniacali. Immaginate la scena: qualcuno si avvicina, ci passa accanto per strada, e lui subito dietro di me. Un bestione con le zampe possenti. Non abbaia, non ulula. Si limita a guardare gli estranei con un terrore tale da spaventare anche te.
E alla fine abbiamo capito: aveva paura che lo portassero via. Erano stati degli uomini a portarlo via. Ed erano diventati nemici. Per-sem-pre. Di nuovo. Adesso il quadro era più chiaro: ci era capitato un cane con gravi problemi psichici. Cosa c’è di peggio? Non era lui a difendere noi, ma noi a dover difendere lui…
Chiamo il negozio: cos’è successo al cane? No, non telefono per reclamare: voglio saperlo solo per aiutare il cane e noi. E la commessa cede: prima che lo prendessimo noi, il cane era stato rifiutato due volte. Non aveva idea di cosa fosse successo, dove lo avevano portato e perché non lo avevano voluto. Ma lo avevano picchiato. E lo avevano picchiato degli uomini. Lo avevano spaventato. E poi lo avevano scaricato. Non c’erano dubbi: bisognava trovare uno psicologo o un addestratore.
Gli psicologi più economici costano 1.300 rubli a visita. Per questa somma danno consigli di questo tenore: andare in vacanza, passare più tempo all’aria aperta, riposarsi, cambiare casa, ambiente, città, paese… Ma non li danno tutti insieme. Ogni consiglio 1.300 rubli. Uff! La missione era materialmente impossibile. Ripiegammo sugli addestratori. Katja – della ditta Cane intelligente, oppure Amico fedele, costo 500 rubli all’ora – diceva di lavorare soltanto con i “cani dell’élite” (non con cani d’élite, ma con cani di gente ricca), e aveva l’agenda piena di appuntamenti.
Però è riuscita a trovare un ritaglio di tempo. Erano le sette del mattino quando è arrivata da noi, ancora mezza addormentata. Con le mani in tasca ha cominciato a darmi ordini: vai là, fai questo e quest’altro. Niente di elitario: solo quello che c’è scritto in qualunque manuale sull’addestramento dei cani.
Addestratrice noglobal
Quindici minuti prima della fine della lezione, e malgrado il suo aspetto noglobal – maglietta nera, stivaletti e bandana – Katja ha preteso molto globalisticamente i suoi 500 rubli, sbuffando con disprezzo quando le abbiamo fatto notare che le rimaneva ancora un quarto d’ora di lavoro. Non ci siamo più rivisti.
La seconda e la terza addestratrice sono state assolutamente identiche alla prima per qualità degli esercizi, però la tariffa era più alta: 700 e 900 rubli per la stessa ora scarsa. Non era più possibile buttare altri soldi dalla finestra, tanto più che la vescica di Van Gogh continuava a costarci migliaia di rubli. Così la vita è ripresa a scorrere come prima.
Van Gogh continuava ad avere il terrore di tutto, e io continuavo a difenderlo da tutto. Dagli uomini, dagli oggetti sconosciuti, dallo stridio della serranda del garage, dalle frenate delle macchine e dagli uomini che ci passavano accanto.
Fedele per sempre
Man mano che cresceva, i problemi aumentavano. Nel nostro quartiere, per raggiungere il giardinetto riservato ai cani bisogna attraversare una strada molto trafficata e senza semaforo. In pratica bisogna tuffarsi in un fiume di macchine che non hanno l’abitudine di rallentare.
Prima di arrivare alle strisce pedonali Van Gogh, terrorizzato, si lasciava cadere a terra e io dovevo prenderlo in braccio oppure trascinarlo: 40-50 chili di massa viva che si impuntavano disperatamente. Dopo una passeggiata di questo tipo lo sbalzo di pressione era garantito.
Ma un cane con il metabolismo irregolare, la renella e problemi di socializzazione deve assolutamente trascorrere un po’ di tempo in compagnia dei suoi simili.
Allora ho deciso di caricare Van Gogh sulla mia auto per trasportarlo dall’altra parte della strada. Nel giardinetto corre timoroso senza dare troppa confidenza agli altri cani, anche se qualche volta ci gioca. In compenso si muove, annusa, si tranquillizza.
Ma la sua maggiore occupazione è guardare con nostalgia la nostra auto. E appena apro lo sportello, lui salta allegramente sul sedile posteriore. Adora viaggiare in macchina, o anche soltanto starci seduto dentro. Un piccolo spazio chiuso e isolato dal resto del mondo dove esistono solo lui e la sua padrona. Per Van Gogh è il territorio più sicuro al mondo.
Si calma immediatamente, osserva felice la vita al di là del finestrino, il suo sguardo si rasserena, avvicina le orecchie al parabrezza posteriore e può perfino addormentarsi. Tutte le paure sono scomparse. Salta fuori dalla macchina e si infila subito nel portone del palazzo, corre verso l’ascensore – dai che siamo quasi arrivati e… finalmente: la mia casa, la mia fortezza.
Anche la mia pressione per il momento è tornata normale. Ma si può andare avanti così? I veterinari ormai si esprimono senza mezzi termini: lo sopprima. Lo stesso dicono amici e colleghi: perché tormentarsi in questo modo? Dopo tutto è un cane, non un essere umano. Dallo via. È solo un’elegante figura retorica per dire la stessa cosa: sopprimilo.
Chi volete che se ne occupi, se non chi si è già affezionato con tutta l’anima a questo essere con le orecchie grandi e gli occhi malinconici, che non ha colpa di nulla.
In una grande città il destino di un cane malato, se il suo padrone non ha i mezzi per curarlo e mantenerlo, è essere soppresso. Il mondo, che è diventato crudele con tutte le persone in difficoltà (disabili, orfani, malati), è diventato altrettanto crudele con gli animali. È naturale, non potrebbe essere diversamente. Per capire fino a che punto l’odore dei soldi ci rende feroci basta portare a spasso un cane malato.
Non appartengo alla tribù degli animalisti folli, quelli che amano i cani più degli uomini. Io gli uomini li amo più dei cani. Ma non sono capace di tradire. Soprattutto se so che quell’essere vivente non sopravviverebbe a un altro abbandono: morirebbe senza di me. È completamente in mio potere, fino all’ultimo pelo del suo lungo orecchio setoso. Come è in potere di chiunque se lo ritrovi tra le mani per un capriccio della sorte.
Il mondo dei ricchi
Questa casta sempre più numerosa dei cani abbandonati, fratelli di Van Gogh, è stata generata dal mondo dei ricchi. Li comprano come se fossero un giocattolo – ci si divertono un po’, si stufano, gli mollano un calcio.
Ignorano il valore dei soldi proprio come ignorano il valore di un essere vivente che ti è fedele fino alla fine. So bene cosa mi si potrebbe obiettare: non tutti i ricchi sono così cattivi, non tutti i veterinari sono degli squartatori. Certo. Ma allora perché da noi si vedono branchi di cani di razza che cercano rifugio negli androni?
È di nuovo sera. Giro la chiave nella serratura e… Van Gogh mi vola addosso, sempre e comunque. Anche se gli fa male la pancia, anche se stava dormendo profondamente, qualunque cosa abbia mangiato. La fonte di un affettuoso moto perpetuo. Tutti ti piantano, tutti si stancano di te – il cane non smette mai di amarti.
E io lo prendo, lo carico in macchina, lo trasporto dall’altro lato della strada, corro al suo fianco per farlo saltare un po’ con gli altri cani, gli faccio vedere come bisogna giocare con loro, striscio con lui lungo il percorso a ostacoli per fargli vincere la paura, lo accompagno vicino a uomini sconosciuti, prendo la loro mano, con la loro mano accarezzo le orecchie di Van Gogh e gli ripeto che sono buoni.
Con lui ci sentivamo come dietro a una schiera di guardie del corpo: adorava i nostri amici, individuava immediatamente i malintenzionati e li cacciava senza esitazioni, però non mordeva mai nessuno. Sotto gli occhi di Martin litigavamo, ci riappacificavamo, ci ritrovavamo, ci lasciavamo.
E lui ci amava disperatamente, a volte sembrava sopraffatto da questo amore. Martin ha smesso di servirci solo negli ultimi 45 minuti della sua vita, quando si è sdraiato e ha perso conoscenza. Allora siamo stati noi a servire lui: gli abbiamo tenuto le mani sul cuore finché ha smesso di battere.
Poi ci sono stati sei mesi di tortura. Vivere senza un cane era come vivere senza una capsula dell’amore ad azione continua impiantata sotto pelle.
Ed ecco che i miei figli hanno trovato su internet un annuncio fantastico. Da un lato questo cane non somigliava a Martin – per noi era un punto irrinunciabile. Dall’altro non aveva il pelo lungo – anche questo era importante, eravamo abituati così. Infine, secondo le informazioni raccolte, era un animale socievole e affettuoso.
Un cucciolo bloodhound. Per chi non lo conosce è un cane con le zampe grosse, gli occhi perennemente tristi e le orecchie lunghe.
Andiamo al negozio. La commessa continua a ripetere: “Questo maschietto è semplicemente una meraviglia. Il migliore della cucciolata”. Il “migliore” non smette un attimo di fare pipì. Ci guarda e fa subito pipì. Però è tenerissimo, giocherellone – prendetemi, vi prego. E questo decide tutto: implora da stringere il cuore.
“Quattro mesi. Ha ancora diritto di far pipì”, ripete la donna con voce stridula.
A casa lo abbiamo ribattezzato Van Gogh, al posto dello stupido Hagard che gli aveva affibbiato la venditrice. E cominciamo a vivere insieme. Ben presto è chiaro che Van Gogh non fa pipì in continuazione: è una vera e propria macchina per la minzione. Appena vede un estraneo, ecco una pozzanghera. Che fare?
Abbiamo smesso di invitare esseri umani in casa (eccetto i parenti), sperando che l’abitudine gli sarebbe passata. In quanto ad alzare la voce di mezzo tono – non dico gridare, per carità, ma appena un lieve aumento di volume – neanche a parlarne: subito un fiume.
Appena fa uno schizzetto, Van Gogh comincia ad agitarsi per la paura, si nasconde o, peggio, lo lecca, cercando di eliminare le tracce. Portarlo fuori? Van Gogh, ce ne accorgiamo subito, odia la strada, tutto gli fa orrore. Il momento migliore della passeggiata è quando varchiamo il portone, l’ascensore, la soglia del nostro appartamento. Appena riprendiamo la via di casa rizza subito la coda, felice. La nostra casa è diventata la sua fortezza.
Tutto in vendita
Nella clinica veterinaria ci dicono che non ha quattro mesi, ma almeno cinque, e ci chiedono: “Lo sapete perché la commessa gli ha abbassato l’età?”. “Perché?”. “Per convincervi a prenderlo. I cani grandi non li vuole nessuno – spesso hanno già imparato qualcosa, e non è detto che sia qualcosa di buono”.
Ed è proprio così. I veterinari hanno anche trovato della renella nella vescica di Van Gogh. Le analisi sono costate più di dodicimila rubli. Più altri duemila per gli antibiotici per curare l’infiammazione. Secondo il dottore, in età così giovanile (negli esseri umani e nelle bestie, la renella e i calcoli sono appannaggio degli anziani) il problema è provocato da una cattiva alimentazione imposta da molti allevatori e commercianti.
Proprio quando il cucciolo va nutrito bene, gli danno quello che capita e così gli alterano il metabolismo. Ma l’essenziale è smerciarlo, confondere le idee ai futuri padroni e tanti saluti. È gente che finge affetto, insiste il dottore, ma in realtà è nemica degli animali, rovina i cani per sempre.
Per-sem-pre. È stato l’avviso numero uno. Intanto era chiaro che Van Gogh si aggrappava a noi come a una zattera. Aveva sempre più paura di chiunque entrasse in casa. E il terrore per gli estranei cresceva con lui – ormai era grande e grosso, e i suoi tentativi di nascondersi dietro di noi diventavano maniacali. Immaginate la scena: qualcuno si avvicina, ci passa accanto per strada, e lui subito dietro di me. Un bestione con le zampe possenti. Non abbaia, non ulula. Si limita a guardare gli estranei con un terrore tale da spaventare anche te.
E alla fine abbiamo capito: aveva paura che lo portassero via. Erano stati degli uomini a portarlo via. Ed erano diventati nemici. Per-sem-pre. Di nuovo. Adesso il quadro era più chiaro: ci era capitato un cane con gravi problemi psichici. Cosa c’è di peggio? Non era lui a difendere noi, ma noi a dover difendere lui…
Chiamo il negozio: cos’è successo al cane? No, non telefono per reclamare: voglio saperlo solo per aiutare il cane e noi. E la commessa cede: prima che lo prendessimo noi, il cane era stato rifiutato due volte. Non aveva idea di cosa fosse successo, dove lo avevano portato e perché non lo avevano voluto. Ma lo avevano picchiato. E lo avevano picchiato degli uomini. Lo avevano spaventato. E poi lo avevano scaricato. Non c’erano dubbi: bisognava trovare uno psicologo o un addestratore.
Gli psicologi più economici costano 1.300 rubli a visita. Per questa somma danno consigli di questo tenore: andare in vacanza, passare più tempo all’aria aperta, riposarsi, cambiare casa, ambiente, città, paese… Ma non li danno tutti insieme. Ogni consiglio 1.300 rubli. Uff! La missione era materialmente impossibile. Ripiegammo sugli addestratori. Katja – della ditta Cane intelligente, oppure Amico fedele, costo 500 rubli all’ora – diceva di lavorare soltanto con i “cani dell’élite” (non con cani d’élite, ma con cani di gente ricca), e aveva l’agenda piena di appuntamenti.
Però è riuscita a trovare un ritaglio di tempo. Erano le sette del mattino quando è arrivata da noi, ancora mezza addormentata. Con le mani in tasca ha cominciato a darmi ordini: vai là, fai questo e quest’altro. Niente di elitario: solo quello che c’è scritto in qualunque manuale sull’addestramento dei cani.
Addestratrice noglobal
Quindici minuti prima della fine della lezione, e malgrado il suo aspetto noglobal – maglietta nera, stivaletti e bandana – Katja ha preteso molto globalisticamente i suoi 500 rubli, sbuffando con disprezzo quando le abbiamo fatto notare che le rimaneva ancora un quarto d’ora di lavoro. Non ci siamo più rivisti.
La seconda e la terza addestratrice sono state assolutamente identiche alla prima per qualità degli esercizi, però la tariffa era più alta: 700 e 900 rubli per la stessa ora scarsa. Non era più possibile buttare altri soldi dalla finestra, tanto più che la vescica di Van Gogh continuava a costarci migliaia di rubli. Così la vita è ripresa a scorrere come prima.
Van Gogh continuava ad avere il terrore di tutto, e io continuavo a difenderlo da tutto. Dagli uomini, dagli oggetti sconosciuti, dallo stridio della serranda del garage, dalle frenate delle macchine e dagli uomini che ci passavano accanto.
Fedele per sempre
Man mano che cresceva, i problemi aumentavano. Nel nostro quartiere, per raggiungere il giardinetto riservato ai cani bisogna attraversare una strada molto trafficata e senza semaforo. In pratica bisogna tuffarsi in un fiume di macchine che non hanno l’abitudine di rallentare.
Prima di arrivare alle strisce pedonali Van Gogh, terrorizzato, si lasciava cadere a terra e io dovevo prenderlo in braccio oppure trascinarlo: 40-50 chili di massa viva che si impuntavano disperatamente. Dopo una passeggiata di questo tipo lo sbalzo di pressione era garantito.
Ma un cane con il metabolismo irregolare, la renella e problemi di socializzazione deve assolutamente trascorrere un po’ di tempo in compagnia dei suoi simili.
Allora ho deciso di caricare Van Gogh sulla mia auto per trasportarlo dall’altra parte della strada. Nel giardinetto corre timoroso senza dare troppa confidenza agli altri cani, anche se qualche volta ci gioca. In compenso si muove, annusa, si tranquillizza.
Ma la sua maggiore occupazione è guardare con nostalgia la nostra auto. E appena apro lo sportello, lui salta allegramente sul sedile posteriore. Adora viaggiare in macchina, o anche soltanto starci seduto dentro. Un piccolo spazio chiuso e isolato dal resto del mondo dove esistono solo lui e la sua padrona. Per Van Gogh è il territorio più sicuro al mondo.
Si calma immediatamente, osserva felice la vita al di là del finestrino, il suo sguardo si rasserena, avvicina le orecchie al parabrezza posteriore e può perfino addormentarsi. Tutte le paure sono scomparse. Salta fuori dalla macchina e si infila subito nel portone del palazzo, corre verso l’ascensore – dai che siamo quasi arrivati e… finalmente: la mia casa, la mia fortezza.
Anche la mia pressione per il momento è tornata normale. Ma si può andare avanti così? I veterinari ormai si esprimono senza mezzi termini: lo sopprima. Lo stesso dicono amici e colleghi: perché tormentarsi in questo modo? Dopo tutto è un cane, non un essere umano. Dallo via. È solo un’elegante figura retorica per dire la stessa cosa: sopprimilo.
Chi volete che se ne occupi, se non chi si è già affezionato con tutta l’anima a questo essere con le orecchie grandi e gli occhi malinconici, che non ha colpa di nulla.
In una grande città il destino di un cane malato, se il suo padrone non ha i mezzi per curarlo e mantenerlo, è essere soppresso. Il mondo, che è diventato crudele con tutte le persone in difficoltà (disabili, orfani, malati), è diventato altrettanto crudele con gli animali. È naturale, non potrebbe essere diversamente. Per capire fino a che punto l’odore dei soldi ci rende feroci basta portare a spasso un cane malato.
Non appartengo alla tribù degli animalisti folli, quelli che amano i cani più degli uomini. Io gli uomini li amo più dei cani. Ma non sono capace di tradire. Soprattutto se so che quell’essere vivente non sopravviverebbe a un altro abbandono: morirebbe senza di me. È completamente in mio potere, fino all’ultimo pelo del suo lungo orecchio setoso. Come è in potere di chiunque se lo ritrovi tra le mani per un capriccio della sorte.
Il mondo dei ricchi
Questa casta sempre più numerosa dei cani abbandonati, fratelli di Van Gogh, è stata generata dal mondo dei ricchi. Li comprano come se fossero un giocattolo – ci si divertono un po’, si stufano, gli mollano un calcio.
Ignorano il valore dei soldi proprio come ignorano il valore di un essere vivente che ti è fedele fino alla fine. So bene cosa mi si potrebbe obiettare: non tutti i ricchi sono così cattivi, non tutti i veterinari sono degli squartatori. Certo. Ma allora perché da noi si vedono branchi di cani di razza che cercano rifugio negli androni?
È di nuovo sera. Giro la chiave nella serratura e… Van Gogh mi vola addosso, sempre e comunque. Anche se gli fa male la pancia, anche se stava dormendo profondamente, qualunque cosa abbia mangiato. La fonte di un affettuoso moto perpetuo. Tutti ti piantano, tutti si stancano di te – il cane non smette mai di amarti.
E io lo prendo, lo carico in macchina, lo trasporto dall’altro lato della strada, corro al suo fianco per farlo saltare un po’ con gli altri cani, gli faccio vedere come bisogna giocare con loro, striscio con lui lungo il percorso a ostacoli per fargli vincere la paura, lo accompagno vicino a uomini sconosciuti, prendo la loro mano, con la loro mano accarezzo le orecchie di Van Gogh e gli ripeto che sono buoni.
Internazionale, numero 662-663, 12 ottobre 2006
Soundtrack : A Day in the Life - McCartney
Monday, January 13, 2014
Chi sa di noi meglio di noi? E la verità è una sola?
fa bene star seduto
allo scrittoio
Il kigo è mikka, il terzo giorno di gennaio che in Giappone viene dedicato (dopo la visita ai templi del primo e l'applicazione alle arti del secondo) alle cose più personali. Si tratta di un Haiku di Momoko Kuroda, poetessa giapponese contemporanea.
Il dedicarsi alle cose personali è un sogno che spesso matura dentro di ciascuno di noi, così spesso coinvolti dalle contingenze da dimenticare di dedicare un poco di spazio alla nostra vita. Per questo, l'idea di avere un giorno tutto per sé è splendida. E in questa giornata, cosa di meglio del sedersi allo scrittoio e leggere e scrivere?
In fondo, acquisire esperienza indiretta e riversare esperienza diretta sono gesti bellissimi. In questo senso, diventare ricchi (di esperienza) ed elargire ricchezza (di esperienza) sono due atti meravigliosi. Come il crescere un fiore e sentirne il profumo.
"I know what I like and I like what I know" recitava una canzone dei Genesis che mi è sempre piaciuto ascoltare e ripetere. Prendersi cura di se stessi per crescere. E' bello. Forse questo sentimento deriva dall'infanzia in quei momenti (peraltro assai frequenti) di solitudine in cui, per sentire calore intorno al corpo, mi abbracciavo, le braccia dentro la maglietta di lana, per sentirmi stringere forte. Un affetto ricercato e autoritrovato. Nel buio della stanza, nelle ore di notte, sotto le coperte. Ed addormentarsi così, in un caldo abbraccio.
Ancora adesso, il cuscino è un abbraccio ricercato. La gentilezza di una frase rivolta con dolceza è quanto di desiderato e atteso. Non sempre però l'attesa trova soddisfazione. troppa, troppa contingenza. Troppi, troppi pensieri materiali. Troppe, troppe le informazioni pratiche. A discapito dei tenui e delicati sentimenti.
Non siamo robot. Non siamo alieni. Non siamo androidi. Siamo spiriti imprigionati nella materia che hanno bisogno di spiritualità.
A questo punto, mi sovviene il pensiero che forse la dolcezza della poesia Haiku riportata in realtà possa anche essere letta in forma di una disperata considerazione che solo in quel giorno si rieca a dedicare il tempo alle proprie cose.
Un momento di autosoddisfazione. L'unica che si possa avere in una realtà dove nessuno può capire meglio di te ciò che realmente desideri. Sempre, ogni cosa, ogni gesto, ogni parola si trasforma (o lo è di partenza) in un duplice significato. Ora, quindi, la verità ha sempre due facce? Ogni cosa ha un doppio (ed antitetico) significato e valore?
Quindi il significato dipende da chi lo significa? Non esiste una verità assoluta? E la morte? Non è forse una verità assoluta? Se c'è la morte non può esserci la vita. Eppure, spiritualmente parlando, si riconosce nella morte non la fine ma una nascita e quindi una vita.
E quindi, nulla significa solo una cosa? Dio, forse? E' verosimile. Ma per tutti?
Soundtrack: Welcome to the pleasure dome - FGTH
Sunday, January 12, 2014
Ati-aharah e l'universalità del servizio religioso
prajalpo niyamagrahah
jana-sangas ca laulyam ca
sadbhir bhaktir vinasyati
- mangiare più del necessario o raccogliere più denaro del necessario
- sforzarsi troppo per cose materiali molto difficili da ottenere
- parlare senza necessità di argomenti materiali
- seguire le regole delle Scritture soltanto per il gusto di seguirle e non per progredire nella vita spirituale o trascurare le regole e agire in modo indipendente
- frequentare persone dalla mentalità materialistica che non sono interessate alla coscienza di Krsna
- essere troppo avidi di successi materiali.
Secondo la legge della natura, gli esseri che si trovano sui gradini più bassi della scala dell'evoluzione non mangiano né accumulano più del necessario. Nel regno animale generalmente non si verificano problemi economici di carestia o povertà.
Se mettiamo per strada un sacco di riso, gli uccelli andranno a mangiare qualche chicco e poi voleranno via. Un essere umano invece si porterà via tutto il sacco. Mangerà tutto quello che il suo stomaco potrà contenere e poi cercherà di conservare il resto in un magazzino.
Secondo le Scritture, il fatto ri raccogliere più del necessario è un atto proibito. Attualmente il mondo intero soffre a causa di questo comportamento egoistico. Accumulare più del necessario è anche la causa di prayasa, lo sforzo non necessario. Secondo il piano di Dio, tutti nel mondo possono vivere tranquillamente con un po' di terra e una mucca da latte.
L'uomo non ha bisogno di andare da un luogo all'altro per guadagnarsi da vivere perché può coltivare cereali e mungere latte nello stesso luogo in cui vive. Questo potrebbe risolvere tutti i problemi economici.
Per sua fortuna, l'uomo ha ricevuto un'intelligenza superiore in modo da potere coltivare la coscienza di Krsna, la comprensione di Dio, la sua relazione con Lui e lo scopo supremo della vita, l'amore per Dio.
Purtroppo, gli uomini che si considerano civili, pur non interessandosi alla realizzazione di Dio, usano l'intelligenza per accumulare più del necessario e mangiano solo per soddisfare la lingua. Per volontà di Dio esiste la possibilità di produrre cereali e latte in quantità sufficiente per tutti gli esseri umani del mondo, ma invece di usare la loro intelligenza superiore per coltivare la coscienza di Dio, i cosiddetti uomini intelligenti si danno da fare per produrre un'infinità di cose inutili e/o dannose.
Qui mi vengono in mente le Wearable tech che hanno focalizzato l'attenzione al CES 2014. Brain sensing headphones, Google glass, Netatmo, Muse, PriorVR, iBitz, Spree, JUNE, Peeble, Nexus5 e tanti altri. Ci si domanda a cosa realmente servano e se qualcuno ne senta l'esigenza. Ieri si pensava che l'IPad fosse inutile, ieri Elena mi ha detto che non ne potrebbe fare a meno ora. Io non lo trovo, perso dentro qualche scatolone del trasloco, da oltre due mesi e vivo lo stesso. Benissimo.
Soundtrack: Ya Allah - Laya Project
Saturday, January 11, 2014
Trascendente ed immanente
Ritorno obbligato ad un dualismo esistenziale. Ciò che è qui e ciò che è oltre.
Giordano Bruno parla di Dio in duplice modo: come "Mens super omnia" (Mente al di sopra di tutto) e come "Mens insita in omnibus" (Mente presente in ogni cosa).
Per il primo aspetto, Dio è trascendente, fuori dal cosmo e dalle capacità razionali dell'uomo; è quindi soggetto e oggetto di fede e di lui ci parla solo la Rivelazione.
Per il secondo aspetto, invece, Dio è principio immanente del cosmo (origine senza origine) e pertanto risulta percepibile e accessibile alla ragione umana e diviene oggetto/soggetto di argomento filosofico.
Ora, mi domando, quanto del nostro mondo è proiettato verso il trascendente e quanto realizzato nell'immanente? Non sono discorsi oziosi, nell'accezione che l'oziosità dipende dal non essere legato strettamente alla praticità. Oggi, si tende a considerare solo ciò che ha un visibile (nella comune, dominante visione miopica in atto) risvolto pratico.
Se così fosse, allora, il pensare senza produrre fisicamente qualcosa sarebbe un fatto negativo. E d'altra parte è quello che si vorrebbe facesse la gente. Così diventerebbe più facile condizionare, indurre, controllare, dominare. In tutti i sensi.
Trascendere il significato delle cose non significa però solo avviare il pensiero verso la teologia. Significa anche aprire la fantasia in senso metafisico. Percorrere il cammino del simbolismo, del significante. L'atto di fede è quello più alto e quello finale della visione trascendente, certo. E' la meta del sentiero.
Fissare l'attenzione sull'immanente, rispetto al trascendente, potrebbe essere solo riduttivo. Un fermarsi alla materia delle cose ma è viceversa altrettanto valido. L'importante è vedere l'elemento consecutivo dell'essere. La derivazione e la spiegazione dell'origine e del significato materialistico. Si tratta pur sempre di un riflettere. E l'atto della riflessione è pur sempre ciò che dona il senso di un'esistenza.
Cogito ergo sum.
Ognuno si ponga la domanda: Quanto rifletto io ogni giorno in senso non esclusivamente decisionistico-pratico? Mi pongo una qualche domanda esistenziale?
Per me, è l'ossigeno del quotidiano. E fonte di gioia e di stimolo.
Soundtrack: I could've had religion - Rory Gallagher (live)
Giordano Bruno parla di Dio in duplice modo: come "Mens super omnia" (Mente al di sopra di tutto) e come "Mens insita in omnibus" (Mente presente in ogni cosa).
Per il primo aspetto, Dio è trascendente, fuori dal cosmo e dalle capacità razionali dell'uomo; è quindi soggetto e oggetto di fede e di lui ci parla solo la Rivelazione.
Per il secondo aspetto, invece, Dio è principio immanente del cosmo (origine senza origine) e pertanto risulta percepibile e accessibile alla ragione umana e diviene oggetto/soggetto di argomento filosofico.
Ora, mi domando, quanto del nostro mondo è proiettato verso il trascendente e quanto realizzato nell'immanente? Non sono discorsi oziosi, nell'accezione che l'oziosità dipende dal non essere legato strettamente alla praticità. Oggi, si tende a considerare solo ciò che ha un visibile (nella comune, dominante visione miopica in atto) risvolto pratico.
Se così fosse, allora, il pensare senza produrre fisicamente qualcosa sarebbe un fatto negativo. E d'altra parte è quello che si vorrebbe facesse la gente. Così diventerebbe più facile condizionare, indurre, controllare, dominare. In tutti i sensi.
Trascendere il significato delle cose non significa però solo avviare il pensiero verso la teologia. Significa anche aprire la fantasia in senso metafisico. Percorrere il cammino del simbolismo, del significante. L'atto di fede è quello più alto e quello finale della visione trascendente, certo. E' la meta del sentiero.
Fissare l'attenzione sull'immanente, rispetto al trascendente, potrebbe essere solo riduttivo. Un fermarsi alla materia delle cose ma è viceversa altrettanto valido. L'importante è vedere l'elemento consecutivo dell'essere. La derivazione e la spiegazione dell'origine e del significato materialistico. Si tratta pur sempre di un riflettere. E l'atto della riflessione è pur sempre ciò che dona il senso di un'esistenza.
Cogito ergo sum.
Ognuno si ponga la domanda: Quanto rifletto io ogni giorno in senso non esclusivamente decisionistico-pratico? Mi pongo una qualche domanda esistenziale?
Per me, è l'ossigeno del quotidiano. E fonte di gioia e di stimolo.
Soundtrack: I could've had religion - Rory Gallagher (live)
Thursday, January 9, 2014
Dell'esperienza ricordata e della giovinezza
Russeau (Emilio, libro III) dice
"Neppure è da considerare che l'interesse e l'emozione estetica che ci avvicina alla natura siano sentiti con egual forza dal fanciullo e valgano a destare, abilmente diretti, la sua curiosità teoretica ... il fanciullo vede gli oggetti ma non percepisce i rapporti che li connettono, non può intendere la dolce armonia del loro concerto."
Ecco, ho voluto èrendere spunto da questo per collegarmi anche a quanto detto precedentemente sul concetto che non è vero che le cose ultime sono sempre le migliori. La vita ci forma piano piano o anche a volte a salti bruschi, ma sempre fin dal primo giorno della nascita.
Già nell'infanzia ci circondano sensazioni, immagini, suoni che ci seguono nel tempo e così la sensibilità verso la vita, la curiosità verso il mondo, l'ingenuità che contraddistingue (chi più chi meno) il proprio carattere, la sensibilità, il coraggio di osare e la paura dell'ignoto nascono con noi.
Poi, si tesse la tela dell'esistenza, arricchendo le nostre basi di esperienze (vissuto + giudizio) e modulando la propria reazione agli stimoli, diventando, giorno dopo giorno, meno bambini. E non ho detto "più vecchi" ma "meno bambini" perché il bambino che è in noi non ci abbandona mai. Pronto a venire fuori non appena le emozioni trovano modo di scappare fuori dalla corazza dei filtri inibitori (comportamentali, percettivi, ideativi).
Ed è grazie a questo bambino innato e persistente che scopriamo sempre nuove cose. Non è grazie alla conoscenza ma alla curiosità. Come dire che non si impara a cercare i perché delle cose in mezzo ai libri ed alla cultura o all'erudizione. La tendenza alla curiosità c'è o non c'è. Ed è figlia - mi pare - dell'ingenuità con cui si guarda meravigliati intorno. La meraviglia è di fatto evocazione di interesse che spinge a cercare. E' risposta alla provocazione del mondo.
Mai sopire il bambino dentro di noi. Esaltarlo invece ma nel rispetto del mondo. Stimolarne l'ingenua curiosità e l'emozione sensibile. E lasciare che il cammino sia possibilmente autonomo. Così si capirà meglio il mondo. Il sottile, eppur gigantesco valore del particolare, della sfumatura. Lo struggente significato della sfumatura.
E da tutto questo non può non scaturire (fresca come l'acqua di una sorgente o la brezza che muove le foglie) la domanda esistenziale:
"Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?"
Soundtrack: Atom Earth Mother - David Gilmour Live
"Neppure è da considerare che l'interesse e l'emozione estetica che ci avvicina alla natura siano sentiti con egual forza dal fanciullo e valgano a destare, abilmente diretti, la sua curiosità teoretica ... il fanciullo vede gli oggetti ma non percepisce i rapporti che li connettono, non può intendere la dolce armonia del loro concerto."
Ecco, ho voluto èrendere spunto da questo per collegarmi anche a quanto detto precedentemente sul concetto che non è vero che le cose ultime sono sempre le migliori. La vita ci forma piano piano o anche a volte a salti bruschi, ma sempre fin dal primo giorno della nascita.
Già nell'infanzia ci circondano sensazioni, immagini, suoni che ci seguono nel tempo e così la sensibilità verso la vita, la curiosità verso il mondo, l'ingenuità che contraddistingue (chi più chi meno) il proprio carattere, la sensibilità, il coraggio di osare e la paura dell'ignoto nascono con noi.
Poi, si tesse la tela dell'esistenza, arricchendo le nostre basi di esperienze (vissuto + giudizio) e modulando la propria reazione agli stimoli, diventando, giorno dopo giorno, meno bambini. E non ho detto "più vecchi" ma "meno bambini" perché il bambino che è in noi non ci abbandona mai. Pronto a venire fuori non appena le emozioni trovano modo di scappare fuori dalla corazza dei filtri inibitori (comportamentali, percettivi, ideativi).
Ed è grazie a questo bambino innato e persistente che scopriamo sempre nuove cose. Non è grazie alla conoscenza ma alla curiosità. Come dire che non si impara a cercare i perché delle cose in mezzo ai libri ed alla cultura o all'erudizione. La tendenza alla curiosità c'è o non c'è. Ed è figlia - mi pare - dell'ingenuità con cui si guarda meravigliati intorno. La meraviglia è di fatto evocazione di interesse che spinge a cercare. E' risposta alla provocazione del mondo.
Mai sopire il bambino dentro di noi. Esaltarlo invece ma nel rispetto del mondo. Stimolarne l'ingenua curiosità e l'emozione sensibile. E lasciare che il cammino sia possibilmente autonomo. Così si capirà meglio il mondo. Il sottile, eppur gigantesco valore del particolare, della sfumatura. Lo struggente significato della sfumatura.
E da tutto questo non può non scaturire (fresca come l'acqua di una sorgente o la brezza che muove le foglie) la domanda esistenziale:
"Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?"
Soundtrack: Atom Earth Mother - David Gilmour Live
Wednesday, January 8, 2014
Amo l’uomo incerto dei suoi fini - René Char
Amo
l’uomo incerto dei suoi fini
come lo è in aprile, l’albero da frutto…
l’uomo incerto dei suoi fini
come lo è in aprile, l’albero da frutto…
Oggi ho vissuto l’istante della potenza
e dell’invulnerabilità assolute
ero un alveare che migrava
verso le sorgenti del cielo
con tutto il suo miele e tutte le sue api.
e dell’invulnerabilità assolute
ero un alveare che migrava
verso le sorgenti del cielo
con tutto il suo miele e tutte le sue api.
Non c’è spazio nelle nostre tenebre, per la bellezza
tutto lo spazio è per la bellezza.
Il poeta si distingue per il numero di pagine
insignificanti che non scrive.
Egli possiede tutte le strade
della vita smemorata: per distribuire
le sue povere elemosine
e sputare quel poco di sangue
che non lo farà morire.
Egli possiede tutte le strade
della vita smemorata: per distribuire
le sue povere elemosine
e sputare quel poco di sangue
che non lo farà morire.
Siamo divisi tra la brama di conoscere
e la disperazione di aver conosciuto.
la spina non rinuncia al suo morso,
noi alla nostra speranza.
(grazie a http://www.igiornielenotti.it/?p=20018)
Soundtrack: The Beatitudes - Kronos Quartet
Tuesday, January 7, 2014
Boycott, un'idea che nasce lontano e deve essere rivalutata
Charles Boycott nacque a Norfolk nel 1832. Dopo aver prestato servizio nella British Army andò a lavorare in Irlanda come amministratore terriero per Lord Erne, proprietario di un latifondo nella zona del lago di Lough Mask, nella contea di Mayo (Irlanda occidentale).
Nel 1880, come parte della sua campagna per le "3 F" (Fair rent, Fixity of tenure e Free sale, ossia canone equo, affitto stabile e vendita libera) per tutelare gli affittuari dei fondi agricoli dallo sfratto, la Irish Land League indusse i contadini locali, impiegati come braccianti nelle aziende agricole più grandi come quella amministrata da Boycott, a rifiutarsi di lavorare nelle terre di Lord Erne.
Quando Boycott tentò di contrastare tale campagna, la Lega, oltre a ricorrere a intimidazioni e violenze nei confronti dei "crumiri", lanciò un'azione a tutto campo per isolare l'amministratore dalla comunità locale: i vicini non gli avrebbero parlato, i negozi non lo avrebbero servito, i carpentieri non gli avrebbero aggiustato la casa ed i postini si sarebbero rifiutati di consegnargli la sua posta.
La campagna contro Boycott divenne famosa nella stampa britannica - anche perché fu lo stesso Boycott a denunciare la situazione scrivendo al Times. Le terre del conte cominciarono a inaridire e Boycott fu licenziato. Il governo inglese, non accettando l'insubordinazione irlandese, decise di intervenire, inviando nel novembre 1880 una scorta militare per salvare il raccolto del latifondo di Lord Erne e proteggere Boycott. Quest'ultimo fu comunque costretto a lasciare l'Irlanda il 1º dicembre dello stesso anno.
Boicottare.
Forse, insieme al voto democratico, è la nostra ultima arma di un pensare responsabile e felice.
Soundtrack: Korsakov - Boicot
Nel 1880, come parte della sua campagna per le "3 F" (Fair rent, Fixity of tenure e Free sale, ossia canone equo, affitto stabile e vendita libera) per tutelare gli affittuari dei fondi agricoli dallo sfratto, la Irish Land League indusse i contadini locali, impiegati come braccianti nelle aziende agricole più grandi come quella amministrata da Boycott, a rifiutarsi di lavorare nelle terre di Lord Erne.
Quando Boycott tentò di contrastare tale campagna, la Lega, oltre a ricorrere a intimidazioni e violenze nei confronti dei "crumiri", lanciò un'azione a tutto campo per isolare l'amministratore dalla comunità locale: i vicini non gli avrebbero parlato, i negozi non lo avrebbero servito, i carpentieri non gli avrebbero aggiustato la casa ed i postini si sarebbero rifiutati di consegnargli la sua posta.
La campagna contro Boycott divenne famosa nella stampa britannica - anche perché fu lo stesso Boycott a denunciare la situazione scrivendo al Times. Le terre del conte cominciarono a inaridire e Boycott fu licenziato. Il governo inglese, non accettando l'insubordinazione irlandese, decise di intervenire, inviando nel novembre 1880 una scorta militare per salvare il raccolto del latifondo di Lord Erne e proteggere Boycott. Quest'ultimo fu comunque costretto a lasciare l'Irlanda il 1º dicembre dello stesso anno.
Boicottare.
Forse, insieme al voto democratico, è la nostra ultima arma di un pensare responsabile e felice.
Soundtrack: Korsakov - Boicot
Monday, January 6, 2014
Concreta utopia - Adriano Olivetti
Questo 2014 inizia ben agguerrito. Improntato ad uno spirito di totale volontà di seguire i principi esistenziali di rispetto, sensibilità, integrità, onestà e carità.
Il titolo è dedicato ad una figura che appare illuminata in un periodo, il nostro dopoguerra, dove chi ha potuto approfittarsene lo ha fatto a discapito dei lavoratori onesti e più deboli. Questo testo è dedicato ad un "imprenditore rosso", ad una persona che ha seguito l'idea di un idealismo concreto: Adriano Olivetti.
Abbiamo bisogno di figure da prendere come esempio. In qualsiasi momento. A qualsiasi età. In ogni situazione. Di fronte a qualsiasi evento. In ogni giornata. Ad ogni fase della vita. sempre.
Adriano Olivetti è una di queste.
Adriano Olivetti nasce a Torino nel 1901 da padre di origine ebraica e madre valdese. Il padre aveva
fondato nel 1908 ad Ivrea, la 'Ing.
C. Olivetti & C', prima fabbrica italiana di macchine per scrivere.
Adriano, fa esperienza negli Usa e poi inizia la propria esperienza professionale, come operaio, nella fabbrica paterna. Ricorda così quel periodo: 'Una tortura per lo spirito, stavo imprigionato per delle ore che non finivano mai, nel nero e nel buio di una vecchia officina'.
E dal suo apprendistato trarrà la convinzione che 'occorre capire il nero di un lunedì nella vita di un operaio. Altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere se non si sa che cosa fanno gli altri.'
Il padre Camillo è un socialista e durante il fascismo nasconde Filippo Turati ricercato dalla polizia e, insieme a Parri, a Pertini e ad Adriano, lo aiuta ad espatriare. Adriano viene considerato un "sovversivo".
Nel 1938 Adriano è presidente della Olivetti e propone un vasto programma di progetti e di innovazioni: l'organizzazione decentrata del personale, la direzione per funzioni, la razionalizzazione dei tempi e metodi di montaggio, lo sviluppo della rete commerciale in Italia e all'estero. Le novità da lui introdotte sono caratterizzate da un'attenta e sensibile gestione dei dipendenti, sempre considerati dal punto di vista umano prima che come risorse produttive.
Dopo la fine della guerra, di ritorno dall'esilio svizzero, Adriano guida la fabbrica sperimentando un modello di organizzazione del lavoro basato sui principi di solidarietà sociale. L'esperienza Olivetti diventa così un caso unico nel panorama imprenditoriale dell'epoca.
Adriano Olivetti ama la storia, la filosofia, la letteratura, è attento alle avanguardie artistiche ed ha una passione particolare per l'urbanistica. Per Olivetti l'organizzazione del territorio e le caratteristiche architettoniche degli edifici hanno una grande importanza anche sotto il profilo sociale ed economico.
Nel 1953 Adriano Olivetti impianta a Pozzuoli una nuova fabbrica per la realizzazione di macchine calcolatrici. Un imprenditore che offre posti, assistenza, istruzione per i figli, oltre a salari maggiori della media, rappresenta una novità assoluta nel Mezzogiorno d'Italia e uno stimolo molto forte per i lavoratori, i cui risultati produttivi, infatti, si rivelano ottimi, superiori persino a quelli raggiunti negli stabilimenti di Ivrea. La Olivetti diventa così il luogo del dialogo possibile tra nord e sud Italia.
Anche davanti alla prima crisi di sovrapproduzione (1957) Adriano Olivetti: non chiude le fabbriche come tutti si sarebbero aspettati ma, al contrario, fa crescere la struttura commerciale, puntando in modo particolare sulla formazione dei venditori, figure professionali fino ad allora dequalificate, di cui Adriano Olivetti coglie invece l'importanza strategica.
Il 27 febbraio 1960 una trombosi cerebrale stronca sul treno Milano-Losanna Adriano Olivetti. Il resto è poi una brutta storia di pescecani e finanzieri all'arrembaggio del capitale.
Soundtrack: No pasaran - Boikot
Il titolo è dedicato ad una figura che appare illuminata in un periodo, il nostro dopoguerra, dove chi ha potuto approfittarsene lo ha fatto a discapito dei lavoratori onesti e più deboli. Questo testo è dedicato ad un "imprenditore rosso", ad una persona che ha seguito l'idea di un idealismo concreto: Adriano Olivetti.
Abbiamo bisogno di figure da prendere come esempio. In qualsiasi momento. A qualsiasi età. In ogni situazione. Di fronte a qualsiasi evento. In ogni giornata. Ad ogni fase della vita. sempre.
Adriano Olivetti è una di queste.
Adriano, fa esperienza negli Usa e poi inizia la propria esperienza professionale, come operaio, nella fabbrica paterna. Ricorda così quel periodo: 'Una tortura per lo spirito, stavo imprigionato per delle ore che non finivano mai, nel nero e nel buio di una vecchia officina'.
E dal suo apprendistato trarrà la convinzione che 'occorre capire il nero di un lunedì nella vita di un operaio. Altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere se non si sa che cosa fanno gli altri.'
Il padre Camillo è un socialista e durante il fascismo nasconde Filippo Turati ricercato dalla polizia e, insieme a Parri, a Pertini e ad Adriano, lo aiuta ad espatriare. Adriano viene considerato un "sovversivo".
Nel 1938 Adriano è presidente della Olivetti e propone un vasto programma di progetti e di innovazioni: l'organizzazione decentrata del personale, la direzione per funzioni, la razionalizzazione dei tempi e metodi di montaggio, lo sviluppo della rete commerciale in Italia e all'estero. Le novità da lui introdotte sono caratterizzate da un'attenta e sensibile gestione dei dipendenti, sempre considerati dal punto di vista umano prima che come risorse produttive.
Dopo la fine della guerra, di ritorno dall'esilio svizzero, Adriano guida la fabbrica sperimentando un modello di organizzazione del lavoro basato sui principi di solidarietà sociale. L'esperienza Olivetti diventa così un caso unico nel panorama imprenditoriale dell'epoca.
Adriano Olivetti ama la storia, la filosofia, la letteratura, è attento alle avanguardie artistiche ed ha una passione particolare per l'urbanistica. Per Olivetti l'organizzazione del territorio e le caratteristiche architettoniche degli edifici hanno una grande importanza anche sotto il profilo sociale ed economico.
Nel 1953 Adriano Olivetti impianta a Pozzuoli una nuova fabbrica per la realizzazione di macchine calcolatrici. Un imprenditore che offre posti, assistenza, istruzione per i figli, oltre a salari maggiori della media, rappresenta una novità assoluta nel Mezzogiorno d'Italia e uno stimolo molto forte per i lavoratori, i cui risultati produttivi, infatti, si rivelano ottimi, superiori persino a quelli raggiunti negli stabilimenti di Ivrea. La Olivetti diventa così il luogo del dialogo possibile tra nord e sud Italia.
Anche davanti alla prima crisi di sovrapproduzione (1957) Adriano Olivetti: non chiude le fabbriche come tutti si sarebbero aspettati ma, al contrario, fa crescere la struttura commerciale, puntando in modo particolare sulla formazione dei venditori, figure professionali fino ad allora dequalificate, di cui Adriano Olivetti coglie invece l'importanza strategica.
Il 27 febbraio 1960 una trombosi cerebrale stronca sul treno Milano-Losanna Adriano Olivetti. Il resto è poi una brutta storia di pescecani e finanzieri all'arrembaggio del capitale.
Soundtrack: No pasaran - Boikot
Tanti colori
I colori ci circondano. Spesso però vediamo in bianco e nero. Spesso non vediamo. Cancelliamo i colori dai nostri occhi. Diciamo che non abbiamo tempo, che ci sono cose più importanti. Siamo indisponibili. Presi dal presente, senza capire che il presente siamo noi. E non un'altra cosa. Così la nostra vita diventa estranea, distante, senza sapore, grigia, senza colore.
E dovremmo invece colorare ogni nostro istante. Rifiutarci di essere oggetto e non soggetto. Ignorare le contingenze per esaltare il nostro essere sul resto esterno. Non vuole dire rifiutare il mondo. Anzi accettarlo. Aprirci a lui. Con il suoi colori. Con i suoi tempi. Con i suoi rispetti. Non dobbiamo invece accettare il mondo che ci viene disegnato in bianco e nero, in grigio. Da chi vuole farci essere oggetti e non soggetti.
Un bambino colorerà sempre il suo disegno in bianco e nero. Se non lo farà con i colori, in assenza di questi, lo farà con la propria fantasia. Non esiste un modo senza luci e ombre e gialli e rossi e verdi e viola e azzurri e arancioni. Altrimenti non esiste il mondo.
Una poesia di Ana Pepelnik, poetessa slovena.
TOLIKO BARV
Zapisek o barvah
je brezbarven.
Samo črn in bel.
Črne črke
ki počivajo
na belem papirju.
Ampak zate sem
prehodila zelen
park in nabirala
pisan svet
za v tvojo
drobno pest.
TANTI COLORI
Gli appunti sui colori
sono incolori.
Solo neri e bianchi.
Lettere nere
che riposano
su carta bianca.
Ma per te ho
attraversato un verde
parco e raccoglievo
un mondo variopinto
per il tuo
piccolo pugno.
Soundtrack: E lucean le stelle (Tosca - Puccini) - Franco Corelli
E dovremmo invece colorare ogni nostro istante. Rifiutarci di essere oggetto e non soggetto. Ignorare le contingenze per esaltare il nostro essere sul resto esterno. Non vuole dire rifiutare il mondo. Anzi accettarlo. Aprirci a lui. Con il suoi colori. Con i suoi tempi. Con i suoi rispetti. Non dobbiamo invece accettare il mondo che ci viene disegnato in bianco e nero, in grigio. Da chi vuole farci essere oggetti e non soggetti.
Un bambino colorerà sempre il suo disegno in bianco e nero. Se non lo farà con i colori, in assenza di questi, lo farà con la propria fantasia. Non esiste un modo senza luci e ombre e gialli e rossi e verdi e viola e azzurri e arancioni. Altrimenti non esiste il mondo.
Una poesia di Ana Pepelnik, poetessa slovena.
TOLIKO BARV
Zapisek o barvah
je brezbarven.
Samo črn in bel.
Črne črke
ki počivajo
na belem papirju.
Ampak zate sem
prehodila zelen
park in nabirala
pisan svet
za v tvojo
drobno pest.
TANTI COLORI
Gli appunti sui colori
sono incolori.
Solo neri e bianchi.
Lettere nere
che riposano
su carta bianca.
Ma per te ho
attraversato un verde
parco e raccoglievo
un mondo variopinto
per il tuo
piccolo pugno.
Soundtrack: E lucean le stelle (Tosca - Puccini) - Franco Corelli
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