Wednesday, May 27, 2015

Il ripudio del collettivismo

L'altra sera, mentre rientravo a casa, ho allungato il giro e sono passato in Via Conte Rosso dove non ero più tornato da almeno 40 anni. In un negozio, trasformato in Circolo Culturale si tenevano, negli anni settanta, le riunioni di una cellula di Lotta Comunista.

Ora non esiste più nulla. Forse era dove adesso c'è l'insegna di un Forno che all'epoca era stato okkupato. "Di', ti ricordi che c'era il vezzo di scrivere la Kappa al posto della lettera C? Ricordi che scrivevano Kossiga con la lettera S trasformata nel logo delle SS naziste? Era il ministo degli interni, allora."

Mi sono fermato. Così, perché c'era un capannello di persone davanti ad un'osteria. Basco, sigaro, barba e giornale sotto il braccio ... "Dove sono?" mi sono domandato. "Sono tornato indietro nel tempo?" Ho posteggiato lo scooter e mi sono avvicinato a loro. Un che di familiare. Uno di loro, in particolare.

Entro nel bar-osteria e mi trovo negli anni sessanta. Bancone in legno scuro, sedie tradizionali da osteria, tavoli usati da decenni e le bottiglie alle spalle del barista con uno specchio dietro. Azzarderei "un barolo chinato, per favore" ma non vedo la bottiglia. Era un aperitivo che si usava al bar di via Torricelli, nella zona dei Navigli.

Allora, scendo a più banali scelte e chiedo un "bianco spruzzato" che poi era il progenitore dello spritz, sperando che il giovane conosca la cosa. La conosce e versa. Ah, fresco e pungente e dolce al tempo stesso. Una vita fa, educato da qualche anziano al piacere del bianco con un pizzico di bitter campari.

Il tipo con barba, giornale in mano e basco entra nell'osteria e continua a parlare. Di politica, di cose sociali, di diritti calpestati e di coscienza dei propri bisogni che è scomparsa. La voce, profonda ma gentile. Gli occhi dietro le spesse lenti, un viso che è un'icona del "compagno di sinistra degli anni settanta".

Poi, ecco, un'espressione dialettale, con una chiara inflessione lombarda. Nulla di trascendente ma ben detta, ben pronunciata e sentita nel cuore. Carlo! Doveva essere Carlo. Il Carlo che avevo conosciuto al liceo Carducci. Con la barba, il basco, gli occhiali e la pigna di giornali da distribuire. Con 17 anni, allora, mentre ora ne doveva avere sessanta.

"Scusa, ma tu ti chiami Carlo?" non ho potuto fare a meno, mentre tenevo il bicchiere "duraflex, france" in mano. "Si, perché?", uno sguardo serio. "Perché io mi chiamo Alessandro e facevo il Carducci come te negli anni settanta. Eri di Lotta Comunista e mi avevi convinto a venire a qualche vostra riunione. Proprio qui, in via Conte Rosso".

"Porco boia, è vero. Ma, tu eri della sezione C. Mi ricordo di te. Bugs Bunny sulla giacca di jeans Levi's e la stella rossa sul basco!". Un sorriso, quarant'anni volati via. Due adolescenti di nuovo. "Porco boia, ma cosa fai da queste parti? Abiti qui adesso? Da poco! Si, perché io sono nato qui e vivo qui e non ti ho mai visto da queste parti prima."

Mi sono sentito di abbracciarlo. La puzza di sigaro sulla spalla della sua giacca e l'ispido della barba che una volta era stata nerissima ed ora virava al bianco. "Carlo, Carlo, come stai, cosa fai?" Avrei voluto avere ore ed ore ma sapevo di dovere rientrare a breve. Ricordo che, all'epoca, era l'unico rappresentante di Lotta Comunista, dei Marxisti-Leninisti, mentre i più, tra i compagni, erano di Lotta Continua.

"Eri l'unico a portare avanti le tue idee. Fuori dal gruppo. Unico" ho detto. "Forse, eri anche l'unico, vero proletario in mezzo a noi "figli di papà" che facevamo i "liceali di sinistra" con la bella casa e i golfini alla moda e il sabato da trascorrere con la fidanzatina in centro, a Milano."

Tu eri l'unico che veniva da case popolari e avevi il padre operaio e ti vestivi con indumenti semplici, ruvidi e dai colori seri (nero, blu, marrone, verde scuro, azzurro strano), ho convenuto tra me e me. "Ed ora? Il Circolo?" Mi hai sorriso, "te lo ricordi dunque. Non c'è più, ma Lotta Comunista esiste ancora. C'è un giornale, ci sono dei libri e ci troviamo. Vuoi riprendere, forse?"

Ho abbassato lo sguardo, poi ti ho fissato negli occhi e ti ho detto "Nella vita vorrei fare tutto ma non mi è dato il tempo di poterlo fare. A nessuno è concesso di andare in tutte le direzioni e dobbiamo quindi scegliere. E non sempre vorremmo farlo. Vorremmo riservarci la possibilità di tornare indietro e prendere un'altra via, indipendentemente dal fatto di essere contenti o meno della prima scelta. Così, tanto per provare altro. Ritornando indietro non solo sui nostri passi ma anche nel tempo, per vivere la cosa con lo stesso spirito."

Gli ho stretto il braccio e c'era della profonda stima per la sua grande coerenza ed affetto per la persona. "No, non riuscirei a farlo. Non voglio cominciare di nuovo qualcosa che poi non riesco a portare avanti. Non riuscirei a mantenere l'impegno. Con il cuore e con la testa, si. Ma con il tempo, no. Mi riservo di mantenere nel cuore l'idea e di comportarmi di conseguenza. Nel lavoro, nei rapporti, nella solidarietà e nella politica."

Aveva riacceso il sigaro, portandomi fuori del locale, sul marciapiede, per fumare. Hai aspirato e poi hai soffiato fuori una nuvola azzurrina. "Anche tu sei sempre stato un solitario. Individualista con il desiderio di imparare, di sbagliare e di continuare. Con le tue idee, i tuoi dubbi ma anche con i timori di un'educazione borghese. Troppo poco motivato dalla necessità e dal bisogno reale per sentire l'obbligo di lottare fino in fondo."

"Hai ragione. Lo penso anch'io. Troppo poco sporco di fango o di grasso di officina e troppo al caldo per desiderare di conquistare una posizione. Per questo ho più filosofeggiato che agito. Ecco, più teorico che pratico. Ma sono felice di essere così. La vita scorre fluida anche se il rimpianto della non azione, del non vivere pesantemente, esiste. Eccome se esiste."

Carlo. Un nome. Una figura, un confronto. Ieri come oggi e, forse, anche domani. Coerente nel modo di crescere e di essere e di proiettarsi nel futuro. O forse, più realisticamente, introiettato nel proprio mondo in una sorta di attaccamento al passato. Ad un mondo che ora non esiste più. Quello del collettivismo a tutti i costi.

"Carlo, vorrei proseguire il dialogo anche domani e dopo ancora e mantenerlo perché è un dialogo con il passato e con me stesso. Con ciò che ero e che continuo ad essere. Perché non ho mai rinnegato il collettivismo. L'idea della comune di vita, dell'avere tutto senza possedere alcunché. Del vivere insieme nel rispetto, nell'amicizia e nella solidarietà. In una visione utopistica e meravigliosamente affascinante."

Guardavo l'osteria e non vedevo più Carlo. Cercavo la panetteria e non sentivo più il profumo del suo sigaro. Mi sono girato e la strada era vuota. Con chi avevo parlato? Chi avevo abbracciato? Carlo era morto di overdose quando facevo la prima liceo al Carducci. Carlo ...

Soundtrack: INTI ILLIMANI - PAPEL DE PLATA

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