Sunday, March 26, 2017

Cinquant'anni fa ... parole al vento

Aspirazioni degli uomini
Essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, una occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini; godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare conoscere e avere di più, per essere di più: ecco l’aspirazione degli uomini di oggi, mentre un gran numero d’essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio tale legittimo desiderio. D’altra parte, i popoli da poco approdati all’indipendenza nazionale sperimentano la necessità di far seguire a questa libertà politica una crescita autonoma e degna, sociale non meno che economica, onde assicurare ai propri cittadini la loro piena espansione umana, e prendere il posto che loro spetta nel concerto delle nazioni.

Colonizzazione e colonialismo
Di fronte alla vastità e all’urgenza dell’opera da compiere, gli strumenti ereditati dal passato, per quanto inadeguati, non fanno tuttavia difetto. Bisogna certo riconoscere che le potenze colonizzatrici hanno spesso avuto di mira soltanto il loro interesse, la loro potenza o il loro prestigio, e che il loro ritiro ha lasciato talvolta una situazione economica vulnerabile, legata per esempio al rendimento di un’unica coltura, i cui corsi sono soggetti a brusche e ampie variazioni. Ma, pur riconoscendo i misfatti di un certo colonialismo e le sue conseguenze negative, bisogna nel contempo rendere omaggio alle qualità e alle realizzazioni dei colonizzatori che, in tante regioni abbandonate, hanno portato la loro scienza e la loro tecnica, lasciando testimonianze preziose della loro presenza. Per quanto incomplete, restano tuttavia in piedi certe strutture che hanno avuto una loro funzione, per esempio sul piano della lotta contro l’ignoranza e la malattia, su quello, non meno benefico, delle comunicazioni o del miglioramento delle condizioni di vita.

Squilibrio crescente
Fatto questo riconoscimento, resta fin troppo vero che tale attrezzatura è notoriamente insufficiente per affrontare la dura realtà dell’economia moderna. Lasciato a se stesso, il suo meccanismo è tale da portare il mondo verso un aggravamento, e non una attenuazione, della disparità dei livelli di vita: i popoli ricchi godono di una crescita rapida, mentre lento è il ritmo di sviluppo di quelli poveri. Aumenta lo squilibrio: certuni producono in eccedenza beni alimentari, di cui altri soffrono atrocemente la mancanza, e questi ultimi vedono rese incerte le loro esportazioni.

Aumentata presa di coscienza
Nello stesso tempo, i conflitti sociali si sono dilatati fino a raggiungere le dimensioni del mondo. La viva inquietudine, che si è impadronita delle classi povere nei paesi in fase di industrializzazione, raggiunge ora quelli che hanno una economia quasi esclusivamente agricola: i contadini prendono coscienza, anch’essi, della loro "miseria immeritata". A ciò s’aggiunga lo scandalo di disuguaglianze clamorose, non solo nel godimento dei beni, ma più ancora nell’esercizio del potere. Mentre una oligarchia gode, in certe regioni, di una civiltà raffinata, il resto della popolazione, povera e dispersa, è "privata pressoché di ogni possibilità di iniziativa personale e di responsabilità, e spesso anche costretta a condizioni di vita e di lavoro indegne della persona umana".

Urti di civiltà
Inoltre l’urto tra le civiltà tradizionali e le novità portate dalla civiltà industriale ha un effetto dirompente sulle strutture, che non si adattano alle nuove condizioni. Dentro l’ambito, spesso rigido, di tali strutture s’inquadrava la vita personale e familiare, che trovava in esse il suo indispensabile sostegno, e i vecchi vi rimangono attaccati, mentre i giovani tendono a liberarsene, come d’un ostacolo inutile, per volgersi evidentemente verso nuove forme di vita sociale. Accade così che il conflitto delle generazioni si carica di un tragico dilemma: o conservare istituzioni e credenze ancestrali, ma rinunciare al progresso, o aprirsi alle tecniche e ai modi di vita venuti da fuori, ma rigettare in una con le tradizioni del passato tutta la ricchezza di valori umani che contenevano. Di fatto, avviene troppo spesso che i sostegni morali, spirituali e religiosi del passato vengano meno, senza che l’inserzione nel mondo nuovo sia per altro assicurata.
11. In questo stato di marasma si fa più violenta la tentazione di lasciarsi pericolosamente trascinare verso messianismi carichi di promesse, ma fabbricatori di illusioni. Chi non vede i pericoli che ne derivano, di reazioni popolari violente, di agitazioni insurrezionali, e di scivolamenti verso le ideologie totalitarie? Questi sono i dati del problema, la cui gravità non può sfuggire a nessuno.

Era il 26 Marzo del 1967. Sono trascorsi 50 anni, una vita intera. Mezzo secolo e nulla è cambiato in meglio. Anzi, quanto temuto si è realizzato e siamo progrediti verso tutto quello che si paventava ed anche più.

Le parole riportate sono quelle che Paolo VI scrisse nella Sua Enciclica "Populorum Progressio", il Progresso dei Popoli. Chi le ha ascoltate? Oseremmo dire, nessuno, neppure tanta parte della Chiesa che per motivi di interesse si è spesso, molto spesso, schierata dalla parte dei potenti, dei dittatori e della conservazione.

Ma è anche vero che tanta Chiesa ha fatto diversamente. tanti fedeli hanno fatto diversamente e ne hanno pagato le conseguenze, anche con la vita. Quindi, dove sta il giusto? Dalla parte della Chiesa, come istituzione, o dalla parte della Chiesa come rinnovamento?

La domanda è pleonastica ma non senza una logica perché quanto possiamo dire della Chiesa conservatrice e di quella di rinnovamento e di lotta? la Chiesa è fatta di uomini, certamente. uomini che possono sbagliare ... ma quanto è lecito, giusto ed accettabile che gli uomini di Chiesa sbaglino e indulgano nell'errore?

Saturday, March 11, 2017

Avete pagato caro ... non avete pagato tutto.

 
Bologna. L'occasione di una giornata diversa dalle altre. Ho sempre considerato Bologna una città piena di sottili grandezze che hanno saputo infondere anche tutto il novecento. Bologna è la città rossa dove i fascisti hanno fatto esplodere la bomba alla stazione il 2 agosto del 1980. Bologna è la città partigiana. Bologna è quella di Piazza Maggiore. Bologna è quella di Radio Alice.

Bologna è quella di Francesco Lorusso. E ho fatto un salto indietro di ben 40 anni, precisi. 11 marzo 1977. E per caso, oggi ho preso a passeggiare per Bologna in un percorso iniziato alla Stazione Centrale e che si è snocciolato nel borgo vecchio, verso l'Università e poi verso Piazza Maggiore. Ed è così che ho incontrato una scritta che mi ha fatto ricordare.
Il ricordo è qualcosa che sa bene impolverarsi al punto da sparire per poi ritornare di colpo, più vivo che mai e capace di fare rivivere l'emozione del tempo. Come se tutti gli anni trascorsi sopra venissero improvvisamente meno e tornasse il passato con la stessa forza dell'odierno. Il passato rivive nel momento stesso in cui ci ricordiamo e provoca le stesse sensazioni.

Francesco Lorusso, quarantanni fa è morto. Ucciso da una pallottola mai trovata. Ucciso da qualcuno che forse era un poliziotto o forse no ... Sospetti e basta. Non sapremo mai. Potremo solo attribuire la responsabilità perché qualcuno, lo Stato di allora, lo "Stato" di sempre ha nascosto, reso confuso, mischiato, insabbiato (si diceva così) la verità.
Un poliziotto della Celere, impaurito, spaventato si è messo a sparare ad altezza uomo. Uno studente di Medicina è rimasto a terra col volto insanguinato. Francesco Lorusso. Una manifestazione improvvisata - ma non per questo meno potente - contro un'assemblea in Università, organizzata da Comunione e Liberazione. Un Rettore dell'Ateneo che chiama la Polizia.

Una manifestazione di intolleranza politica, direi ora, contro liberi studenti ciellini che si erano riuniti. Una manifestazione contro il partito che li rappresentava nominalmente, la Democrazia Cristiana. Una manifestazione contro un "regime di stato" che, allora, faceva parte della comune visione dell'estrema sinistra a cui si apparteneva. L'intransigenza permea la giovinezza, direi oggi.
Anche all'epoca ho sempre considerato l'importanza dei "distinguo" nella valutazione della realtà. Non per indebolire il movimento o la forza della 'risposta' bensì per non reagire di pancia, offrendo il giustificativo a chi nella risposta ripone solo la forza repressiva. Ventiquattroanni son però un'età indegna per morire. E' indegno essere colpiti perché si manifesta un'idea.

E Radio Alice venne chiusa. Venne chiusa la voce della libera espressione, attraverso un salire violento delle scale da parte della Polizia di uno stato che temeva l'opposizione di un'idea contro il conformismo e l'opportunismo. Erano tempi, quelli, dove i pensieri nascevano e prendevano forza dalle riflessioni e dai confronti. Oggi, è pensiero comune, banale, dominante.
E allora? Francesco sei sempre con noi, nella lotta! Così dice lo slogan del muro dipinto di fronte all'università. Ma è vero? Dov'è finita la lotta? Sembra più finita nei bar dove servono colorati happy hour. Ho visto, a questo proposito, che nella sede della Cooperativa Libraria Universitaria ora c'è un locale che non ha tolto la storica insegna. ne ha fatto un elemento decorativo.

Forse noi siamo tutti diventati elementi decorativi. Elementi di una storia che appartiene al passato che non ritorna se non dentro noi stessi. Ma, evidentemente qualcuno crede ancora se dipinge un muro e ricorda la frase "Avete pagato caro, non avete pagato tutto". Così era stato pubblicato dalla rivista "Rosso", la rivista di Autonomia Operaia.

Soundtrack: Radio Alice - 1977

11 marzo 1977 Francesco Lorusso: hanno ucciso un compagno
(dal documento del Collettivo di controinformazione del movimento del 12/3/1977)


Alle 10, assemblea di Comunione e Liberazione: circa 400 persone. Cinque compagni di Medicina, presentatisi all'entrata, vengono malmenati e scaraventati fuori dall'aula. La notizia si sparge nell'università e accorrono una trentina di compagni che vengono dapprima fronteggiati da un centinaio di squadristi ciellini. L'aggressione da parte dei cosiddetti "autonomi" consiste nel lancio di slogans e scambi verbali (ad esempio: "Barabba libero", "Seveso, Seveso"). Scatta la provocazione preordinata: i ciellini si barricano all'interno dell'aula; uno di loro, d'accordo con il prof. Cattaneo, che intanto aveva interpellato il rettore Rizzoli, chiede l'intervento della polizia e dell'ambulanza, prima ancora che succedesse qualcosa.

Nel frattempo, fuori dall'Istituto di Anatomia, si raggruppa un centinaio di compagni; quelli rimasti dentro, dopo aver cercato di sfondare la porta dell'aula, chiedono l'individuazione dei responsabili dell'aggressione, invitando gli estranei al fatto ad uscire. Vista l'inutilità di questi tentativi, i compagni si ricongiungono agli altri che fuori dall'istituto di Anatomia lanciavano slogans contro CL. Dopo appena mezz'ora, arrivano polizia e carabinieri con cellulari, gipponi e camion, in numero certamente spropositato. I compagni escono allora dal giardino antistante l'istituto e si raccolgono sul marciapiede nei pressi del cancello; un primo gruppo di carabinieri entra e si schiera nel giardino, un secondo gruppo esegue la stessa manovra: sta per entrare, si scaraventa contro i compagni, manganellandoli senza alcuna motivazione.

I compagni scappano verso Porta Zamboni; parte la prima scarica di candelotti. Ritornando verso via Irnerio, i compagni vengono bloccati da una autocolonna di PS e carabinieri ed é a questo punto che un carabiniere spara ripetutamente. Per difendersi, viene lanciata una molotov contro la jeep, causando un principio d'incendio. Poi, in Via Mascarella, un gruppo di compagni che ritornava verso l'università incontra una colonna di carabinieri proveniente da Via Irnerio: a questo punto il compagno Francesco Lorusso (militante di Lotta Continua) viene freddamente ucciso. Era rimasto a studiare fino alle 12,30 e solo allora era sceso in strada. I carabinieri caricano il gruppo in cui si trova Francesco e partono le prime raffiche di mitra: alcuni compagni scappano verso l'università, risalendo Via Mascarella. Una pistola calibro 9 si punta sui compagni ed esplode 6 - 7 colpi in rapida successione: lo sparatore (come testimoniano i lavoratori della Zanichelli) indossa una divisa, senza bandoliera, e un elmetto con visiera; prende la mira con precisione, poggiando il braccio su di una macchina. Francesco, sentendo i primi colpi, si volta mentre corre con gli altri e viene colpito trasversalmente. Sulla spinta della corsa percorre altri 10 metri e cade sul selciato, sotto il portico di Via Mascarella. Quattro compagni lo raccolgono e lo trasportano fino alla libreria Il Picchio, da dove un'autoambulanza lo porta all'ospedale. Francesco vi giunge morto.
Nel frattempo, la polizia dopo aver disperso i compagni in Via Irnerio, si ritira in questura. La voce che un compagno é stato ucciso si sparge rapidamente. Radio Alice ne dà la notizia verso le 13,30. Da allora in poi nella zona universitaria é un continuo fluire di compagni. Tutti gli strumenti di informazione che il movimento possiede sono in funzione, dalle parole alla radio. All'incredulità e al disorientamento si sovrappongono il dolore e la rabbia. L'università si organizza per evitare nuove provocazioni della polizia, vengono chiuse tutte le vie d'accesso, ogni facoltà si riunisce e dalle assemblee improvvisate (tutte le aule, la mensa, ogni spazio é riempito dai compagni che si organizzano) emerge con chiarezza che l'assassinio di Francesco é tutto tranne un "incidente". Vengono fatte telefonate ai vari CdF e si manda una delegazione alla Camera del Lavoro per chiedere l'adesione al corteo. La rabbia e il dolore si fanno crescenti e la maggioranza dei compagni individua gli obiettivi e le risposte che il movimento vuole dare. La libreria di CL, Terra Promessa, ridiventa per la terza volta "terra bruciata".

Finite le assemblee si organizzano i servizi d'ordine allo scopo di garantire l'autodifesa del corteo e da tutte le parti si grida che l'obiettivo politico da colpire é la DC. Si parte con un'imponente manifestazione di 8.000 compagni. Sono le 17,30. Il corteo é in Via Rizzoli: alcuni compagni se ne staccano e infrangono le vetrine della via centrale. In Piazza Maggiore il corteo sfila, raccogliendo i compagni rimasti, mentre un gruppo di aderenti al PCI si raccoglie attorno al Sacrario dei Caduti; l'attesa partecipazione dei consigli di fabbrica veniva meno. Il corteo si dirige in Via Ugo Bassi, dove altre vetrine vengono infrante.
Nei pressi della sede della DC, la polizia si scontra con la testa del corteo che riesce ad evitarne l'irruzione nel corteo stesso. Intanto, la coda si scioglie e si disperde nelle stradine laterali. Un primo troncone si ricompone in Via Indipendenza e si dirige alla stazione FS, occupando i primi binari. L'altra parte si ricompone in Piazza Maggiore e si immette in Via Indipendenza dove apprende la notizia dell'occupazione della stazione. Qui intanto iniziano gli scontri, la polizia entra nell'atrio principale, sparando candelotti; i compagni rispondono, riuscendo così ad allontanarsi da un'uscita laterale. Il resto del corteo é nel frattempo arrivato nella zona universitaria, dove ci si riunisce in assemblea, per una valutazione della giornata e per organizzare il viaggio a Roma dell'indomani; nel frattempo viene "aperto" il ristorante di lusso il Cantunzein e centinaia di compagni possono sfamarsi. L'assemblea, iniziata nell'aula magna di Lettere, per l'enorme afflusso di gente viene trasferita al cinema Odeon. Nei pressi del cinema, un compagno viene sequestrato da agenti in borghese, armi in pugno e trasportato via su un'auto con targa civile. Nella notte vengono effettuati numerosi arresti e perquisizioni domiciliari.

Nel tardo pomeriggio le federazioni bolognesi del Pci e della Fgci distribuiscono un volantino: "... Una nuova grave provocazione é stata messa in atto oggi a Bologna. Essa ha preso il via da un'inammissibiie decisione di un gruppo della cosiddetta Autonomia di impedire l'assemblea di CL e da gravi interventi da parte delle forze di polizia. Di fronte a una situazione di tensione nella quale ancora una volta é emerso il ruolo di intimidazione e di provocazione dei gruppi neosquadristici, si é intervenuto con l'uso di armi da fuoco da parte di agenti di PS e dei carabinieri... dev'essere isolata e battuta la logica della provocazione e della violenza che piú che mai é al servizio della reazione. Da tempo nella nostra cittá ristretti gruppi di provocatori, ben individuati, hanno agito all'interno di questa precisa logica". 


Soundtrack:  Gianfranco Manfredi - Ma chi ha detto che non c'è