"Autodistruzione" è il titolo della mia vita, leggo in una pagina di un diario trovato tra i libri di una cassa arrivata al centro di raccolta di una ONLUS a cui collaboro per beneficenza. Leggo senza fermarmi. "Autodistruzione" è l'angoscia della mia vita, fin da piccolo, quando mi domandavo perché avessi paura di diventare un 'senzacasa', un 'barbone', un uomo libero da qualsiasi schema ma anche dal calore, dalla pulizia e dalla salute.
Un'ombra ai margini della società, a tal punto inascoltato da diventare come invisibile perché ignorato, trasparente allo sguardo della mente ... un qualcosa di 'saltato' dal movimento degli occhi. Certo, si fa presto ad ignorare perfino alla vista. E' sufficiente saltare con lo sguardo la 'cosa' che si vuole evitare per riuscire ad ignorarla. La consapevolezza della sua esistenza rimane ma si ferma ad un livello superficiale e non penetra all'interno della razionalità.
Oggi siamo abituati a ignorare con la volontà quello che ci sta intorno. Sappiamo ignorare e questo è spaventoso! Sappiamo modificare i nostri sentimenti modulandoli in base alla convenienza e ... ignorare è quasi sempre conveniente. Ignorare significa non essere coinvolti e non sentire il dovere di partecipare. Non so, non sapevo, non immaginavo e quindi ... sono giustificato! Questo è l'insegnamento della nostra società.
Non abbiamo ricevuto un mondo così ... oppure invece era proprio quello che abbiamo ricevuto e siamo stati capaci di nutrirlo e farlo crescere. Penso che sia stato così perché l'alibi è una dimensione troppo bella. Alibi di non responsabilità ... eppure siamo responsabili di ogni nostro respiro e, figuriamoci dei gesti. Sappiamo ignorare ma ci verrà chiesto di ogni cosa ignorata. Prima o poi.
"Autodistruzione" è il titolo della mia vita ... continua il diario per pagine e pagine in una sorta di mantra devastante e in un crescendo dato dalla forza con cui il tratto della penna incide la debole pagina fino a riuscire a strapparla, quasi. "Autodistruzione" è l'obiettivo di un rifiuto responsabile e razionale che trova nel detestare le convenzioni la propria ragione di essere. Diario di un pazzo?
Diario di una vita iniziata nell'agiatezza e condotta sul duplice binario dell'essere e dell'io che vivono paralleli una doppia relatà in cui la parvenza non è la realtà e la vita si confonde con il desiderio di una dimensione diversa. Dove il tessere legami formali e consueti rende straziante le ore e gli istanti che popolano la vita.
"Autodistruzione" è giunta all'atto finale. "Autodistruzione" mi ha portato a procurarmi un uncino, tagliente, affilato e appuntito. Un ferro in sè ma uno striumento nella sua essenza coerente con la mia vita. E in una follia lucida e anestetizzante mi sono infilato l'uncino nel polso e ho raggiunto la vena e l'ho estratta, umida e gonfia, alla luce del sole.
"Autodistruzione" è anestesia dal dolore per la determinazione del gesto e della volontà che mi fa scavare nella carne per tirare fuori quanta più vena possibile fino a quando posso passare un dito ed afferrarla in modo saldo e definitivo. Oggetto di futuro, prossimo sacrificio, come gli antichi aztechi preparo il coltello che concluderà l'atto sacrificale.
Affrrata con due dita, passo la lama del rasoio sopra e recido di netto quest'oggetto da cui inzia a venire fuori un liquido denso e bruno che scivola sulla pelle e mi fa sentire un calore che sa di intimo, che sa di me. E poi il gesto si ripete con maggiore difficoltà sull'altro polso. L'uncino che penetra nella carne e la vena che viene agganciata. Le dita che la afferrano e la preparano al taglio ... ma la forza viene meno, il coltello rasoio scivola per terra e perdo il senso dello spazio.
Non vedo bene, non trovo il coltello rasosio con la lama amica e sale un senso di paura di non riuscire a concludere. Allora scrivo, scrivo queste parole. Scrivo questi pensieri. Devastato dal liquido caldo che mi si appiccica ovunque. Scrivo perché il diario è il compimento del gesto, altrimenti sarà stato inutile. Devastante compilazione di giorni e ore del mio trascorrere da spettatore che ha rifiutato e rifiuta l'esistenza che gli è stata proposta.
Scrivo e scrivo. Devo terminare e poi non so più cosa fare. La lama si è persa e allora mi viene in mente che ho una lama naturale. Ho i denti. I miei denti e guardo quel piccolo tubo tra le dita e il luccicare del liquido che lo avvolge e mi sporca e mi lancio come un cane sulla gola dell'avversario e strappo quel tubo. Senza dolore, affamata iena dell'esistenza che deve essere consumata.
Strappo la vena e inizia l'uscita della vita. Guardo le due vene tagliate-strappate.
Ora devo solo aspettare.
Soundtrack: Psychedelic trance 2016
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