Quando si gira oziosamente per la città può capitare di trovarsi lungo percorsi che una volta erano assai familiari. Non so se la cosa avviene in modo voluto oppure inconsciamente. Fatto è che mi capita spesso di guadagnarmi una manciata di tempo per girare guardando intorno a me alla ricerca delle sensazioni vecchie oppure nuove che la realtà può evocare.
In fondo, troppo spesso viviamo senza osservare in modo sensibile il mondo intorno a noi, troppo impegnati sul contingente e sulle pendenze che dobbiamo soddisfare ed evadere. Quando si dedica al lavoro e quanto a noi stessi? Si tratta di una scelta doverosa, in fondo la vita è una sola e non può essere solo impegno di lavoro e stanchezza.
Ecco che quella domenica (o era un sabato?), insomma avevo finito di lavorare di notte ed ero mollemente stanco ma felicemente libero. Conscio di avere fatto quello che dovevo e che quindi nulla e nessuno poteva interrompere quel flusso di pensiero libero in cui mi ero immerso. Avevo un appuntamento piacevole con un collega americano con cui parlare di una bella cosa, un progetto ambizioso e molto etico.
Ero quindi in ampio anticipo e l'incontro era fissato presso l'albergo in cui era prenotato per la sua permanenza nella nostra città. E l'albergo era situato nella zona che avevo frequentato per almeno tre anni in modo assiduo, visto che era la zona della scuola media e dove risiedevano i miei compagni che erano anche amici di gioco. Una zona vecchia della città, piena di case di ringhiera e di cortili in cui giocare.
Poco a poco venivano fuori i nomi dei compagnio e tra questi, quello di uno che era sempre diverso da tutti noi. Di famiglia montanara, vestiva pantaloni corti, calzettoni pesanti e scarpe robuste, tutto l'anno. Maglioni fatti a mano nelle stagioni fredde e magliette tradizionalissime e mai alla moda, durante quelle estive. Non ricordo il nome ma solo il cognome. Aveva una sorella più grande ma vestita nel suo stesso stile, da montanara. Con i capelli riuniti in due codine ai lati del capo. Le lentiggini tutti e due.
Lui spesso aveva un alito pesante perché amava mangiare, anzi sgranocchiare le teste dell'aglio. I denti bianchissimi e i capelli sul biondo scuro, sempre tagliati a spazzola. Non lo ricordo molto brillante ma sicuramente era diligente, ordinato e rispettoso nei confronti dei professori e delle regole della classe. Ordine, silenzio, diligenza ... forse era l'unico della classe con dieci in condotta.
Io, invece, veleggiavo intorno all'otto in condotta ma ero anche il primo della classe che a volte sbagliava clamorosamente per fare in fretta e questo, avevo notato, faceva gioire qualcuno che invece conquistava a fatica la sufficienza. Ma si trattava di sensazioni transitorie, fugaci e di poco peso ma ... me lo ricordo ancora e quindi ...
Diversi miei compagni appartenevano a famiglie che avevano un negozio, come Maurizio che aveva una panetteria, Enrico che aveva una pasticceria, Dante che vendeva le bibite al cinema, i due Fratelli che avevano un negozio di frutta e verdura. Corrado aveva un ristorante. Tutti questi negozi erano riuniti in una strada lunga qualche centinaio di metri. Le loro famiglie si conoscevano da tanto e io ero affascinato da queste dinamiche di amicizia. I miei, entrambi professionisti, non avevano simili cose. E io neppure.
Lui, il ragazzino montanaro aveva un negozio di arrotino e casalinghi. Ora, quella mattina, passando lungo quella strada non ho più visto la panetteria e neppure la pasticceria o il negozio di verdure. Il ristorante è cambiato e il cinema non esiste più. Ma, il negozio di arrtino era ancora là. La saracinesca chiusa e la scritta ormai appena leggibile. Eppure rivedevo la vetrina nei miei pensieri e nei ricordi. Ordinata nell'esposizione modesta con colori tenui e semplici. Così diversa da quelle a cui oggi siamo abituati.
E la nostalgia di quei giorni spensierati. Con i primi scambi di sguardi tra noi e le compagne di scuola (non di classe perché non esistevano le classi miste). Ricordo quella che era la più bella ma che aveva già il ragazzo che andava al liceo o alle superiori, non ricordo. C'era poi quella dalla pelle un po' scuretta perché di origini nordafricane. Si chiamava Nadine ed era molto bella con quella pelle ambrata e il viso occidentale ma con occhi molto grandi e scurissimi. Non so se avesse o meno il fidanzatino.
Penso di non averle mai rivolto la parola ma solo di averla osservata da lontano. Ero decisamente goffo e solitario e poi, il primo della classe è sempre in disparte. Poi, ero anche figlio di una professoressa e quindi guardato in modo diverso. E forse per questo mi comportavo da discolo al punto da creare in mia mamma l'imbarazzo di doversi scusare e firmare le note che portavo a casa. Veloce, vivace, brillante, emotivo e solitario, irriverente e timido e impacciato e isolato pur facendo parte di un gruppo perché solo formalmente allineato ma con la testa sempre autonomo.
E le cose non sono cambiate nel tempo. Si è già come si sarà, fin da piccoli. Così, creativo e solitario. Partecipe ma sempre in modo separato. Mai fino in fondo. E con il rammarico di non esserlo e la sottile invidia nei confronti di chi vi riusciva. Ma, al tempo stesso, non disposto a tutto fino in fondo. Era così ed è stato sempre così ed è anche adesso. Desiderio di non implicarsi del tutto? Desiderio di avere sempre una via diversa da scegliere? Desiderio di non potere rinunciare alla propria libertà? Desiderio di non avere vincoli? Siamo dunque così? Vincolati eppure desiderosi di non esserlo?
Soundtrack: Jeff Healey - Like a Hurricane
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