Wednesday, February 19, 2014

Il comune senso della normalità

L'albero m'è penetrato nelle mani
 
L'albero mi è penetrato nelle mani,
la sua linfa mi è salita dalle braccia,
l'albero mi è cresciuto nel seno profondo,
i rami spuntano da me come braccia.

Sei albero,
sei muschio,
sei violette scosse dal vento,
creatura - alta tanto - tu sei,
e tutto questo è follia per il mondo.

Siamo normali, vogliamo la normalità in cui ci si nasconde, si è scossi il meno possibile, il rischio è minimo. Ma è vivere questo? O non è piuttosto una rinuncia al sè. All'essere ciò che siamo, ciò che siamo sempre stati e saremo sempre. Nel nostro profondo, in fondo, non si cambia di molto.

Eppure, la maggior parte di noi fa così. Beata quiete. Uniformarsi nell'anonima normalità pur di non essere diversi e quindi sostenere lo sguardo degli altri o giustificare il proprio essere. Confondersi, sparire, nell'io non io.

Ma la vita è ben altro. Respirare l'aria intorno, farla penetrare dentro e viverla appieno! Mai domi, mai passivi, mai succubi. Protagonisti di sè (non sugli altri). Ecco, è questo che mi fa pensare questa poesia di Ezra Pound, poeta dell'imagismo che non mi trova d'accordo sul fronte politico ma che sa esprimere fiammate di sensazioni e di visione umana.
Così, il mondo deve penetrare in noi e vivere dentro di noi e attraverso noi. Da noi deve riscrescere il  mondo, modulato, trasformato, interpretato, amato, disamato, urlato o sussurrato. Da noi. Antitesi questa al confondersi nella massa.

Se dobbiamo credere nell'uomo, poche cose riassumono il suo valore e le sue potenzialità come il "discorso della montagna". Purezza pura della mente e dell'anima e del sentimento. Indipendentemente dal credo, indipendentemente dalla fede, indipendentemente dalla latitudine e dalla longitudine, dalla cultura o dal pensiero politico o filosofico. Puro valore.

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