Brent Stirton |
In tutti i casi si parla di unicità. E questo può - a maggiore ragione - essere riferito ad un essere vivente. Siamo tutti unici ed irripetibili. Nel bene e nel male. Unici e basta. E questa unicità ci deve fare riflettere su quanto invece diamo per scontato di quello che ci accade intorno. Come se le persone non avessero nulla da dirci che valga la pena di essere ascoltato.
Forse perché si parte dal presupposto che ogni cosa detta o fatta debba in primis passare il vaglio di un filtro di giudizio. Peccato che questo filtro divenga di fatto più un pre-giudizio che un giudizio. Nel senso che i nostri filtri sono in linea generale espressi da criteri standard di tipo oggettivo (valore economico, letterario, spirituale, sociale, ecc ...) o soggettivo (opportunità, simpatia, pathos, condivisione, ecc ...) che lavorano ben prima della fase di ascolto oppure nel corso della stessa ma ben prima della fine del discorso.
Fatoumata Diawa |
Quindi, pre-giudizio. Una cosa che impoverisce il rapporto con l'altro già prima che lo stesso abbia inizio. Una cosa che impedisce a chi potrebbe ascoltare di imparare qualcosa (... anche dal discorso più "inutile" deriva un giudizio che può fare crescere).
Quando pensiamo di non avere avuto alcun beneficio, insegnamento, stimolo da una relazione con una altro essere unico come noi dovremmo considerare che forse noi non eravamo aperti all'ascolto e non - viceversa - che l'altro non aveva nulla da dirci.
Forse, pensando alla nostra (in senso generale) unicità potremo metterci nella condizione aperta di sapere recepire tutto da chiunque e quindi di imparare. Anzi, di potere dire a noi stessi che non passa giorno che non si sia imparato qualcosa. Da chi? Da un altro, atrettanto unico come noi.
E non parlo solo degli uomini. Ma anche degli animali, degli insetti, delle piante, del cielo, del sole, della luna, dell'acqua che scorre e di quella che ristagna, delle nuvole, dei profumo, dei ricordi, dei sapori, dei suoni, del tatto, della luce e delle ombre ...
Rokia Traoré |
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