Guardo una famiglia davanti a me. Stesso giorno, stesso posto, stesso locale, stesso obiettivo. Mangiare in una pausa durante lo shopping in un grande outlet. Padre, madre e figlia. Un padre non giovane che si guarda intorno, incrocia il mio sguardo, forse si domanda perché io lo stia osservando.
Modesti nei vestiti, modesti nei gesti. Non sembra un uomo dai risvolti sociali importanti. Forse un ruolo operativo. Modi umili e sguardi non arroganti. Penso che nella sua umiltà di comportamento, ha però un ruolo riconosciuto nella propria famiglia.
La moglie e la figlia lo interpellano, lo ascoltano quando brevemente parla. Dice la sua e viene seguito. Non dico condiviso, ma almeno ascoltato con attenzione. Una famiglia semplice. E immagino lui al lavoro. Sotto un capo. Uno dei tanti che credono di essere sempre nel giusto. Di essere gli unici tenutari di: intelligenza, acume, perspicacia e conoscenza e diritto. Uno dei tanti miseri di oggi.
Un oggi in cui si magnificano le capacità di miserabili che sanno solo approfittarsi degli altri, apparire senza essere, sfruttare e parlare (sempre parlare, qualsiasi cosa pur di parlare), disprezzare e non cosiderare, prevaricare e non condividere. Figuriamoci che li mandano pure in televisione a condurre, ad insegnare ad essere così (secondo i format televisivo dove ci sono giudici arroganti, maleducati e persino violenti).
Ecco, immagino quest'uomo che viene trattato male, magari giudicato incapace persino di pensare, di agire secondo intelligenza. Eppure, anche lui ha una famiglia. Un ruolo. Una dignità. E mi trovo a pensare quanto maldestri siamo nel rapporto tra noi. Quanto spesso pensiamo di essere gli unici ad avere le idee giuste!
Questo dovremmo considerare. Chi e cosa veramente siamo. Uniti in due fasi del destino: la nascita e la morte. Irrevocabilmente. Uniti in tutti i momenti che il nostro corpo materiale impone. Nello stesso modo. Tutti uguali.
E allora? Chi ci crediamo di essere?
Soundtrack: Amy Dickson - Philip Glass' Violin Concerto No 1 (1st movement)
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