Bessie MacNicol - Autumn |
Il piacevole era il senso stesso della trasferta, il luogo (Pisa) e il modo (in treno). Avrei potuto dedicare a me stesso il gusto di guardare dal finestrino il paesaggio che scorreva a velocità giusta (non avevo appositamente scelto alcun treno veloce). Avrei potuto guardare fuori tenendo il libro aperto sulle ginocchia o almeno socchiuso con l'indice che teneva il segno, cioè manteneva la pagina dove la lettura si era fermata.
Pyotr Alexandrovich Nilus (1869-1943) - At the Fountain |
E infine, le stazioni con quel loro colore tendente al marroncino. Di un rugginoso profumo che si mischiava all'odore umano in tutti i sensi. Binari che da lucidi nel punto di contatto con le ruote del treno, si imbrunivano sempre più per finire agganciati da grossi bulloni bruno-rossicci alle grosse traversine. Prima di un legno bitumoso e nero, quasi pietrificato, e poi di un anonimo cemento.
Boris Kustodiev |
Come fai a distinguere una stazione di Bologna quando sei là sotto? Potrebbe essere dovunque. Anzi, la prima volta mi venne in mente l'aeroporto di Amsterdam che comunicava direttamente con il treno sotterraneo. Invece, la stazione di Bologna, arrivando con il treno normale, ti pone subito di fronte alla memoria di quel terribile 2 agosto 1980. E, se devi scendere, come mi è capitato per incontrare una persona, ti induce il dovere di andare a rendere omaggio alle vittime di quella lontana mattina.
Montserrat Gudio |
Ogni stazione ha poi una sua storia. Privata o pubblica. Ogni stazione ha il suo profumo e il suo colore. Gli oleandri in fiore, le piccole aiuole, i cipressi e gli orizzonti che le circondano. Per non parlare delle panchine. Chi in pietra (di granito, di solito) e chi in ferro battuto ma anche in legno dipinto di verde, come quelle dei parchi e dei giardini.
Zhang Yibo |
L'uscita dalle stazioni poteva avvenire attraverso la stazione stessa, passando dall'atrio dove c'era la biglietteria, oppure, nelle stazioni più piccole dai lati dell'edificio principale. C'era di solito un cancelletto che si apriva lungo il recinto (in genere con una cancellata di cemento stampato) e che ti lasciava vicino ai bagni o al deposito bagagli. Lì, spesso, c'erano le biciclette o i motorini di chi usava spesso il treno per andare e venire dal lavoro.
Mian Situ - Guangdong, formerly Canton |
Ricordo il sole. Ricordo la sensazione che dava il viaggio. Il primo contatto con la stazione e il treno erano le vacanze. Si viaggiava per quello. E anche il solo andare a trovare qualcuno aveva il senso della gita. Si usciva dalla città in cui si viveva e si andava verso l'avventura. Attaccavo il naso al finestrino e ne sentivo il profumo. Aspro, ferroso e osservavo i bordi che non erano mai puliti e conservavano anche loro un alone tendente al marroncino. Ogni parte della carrozza era in ferro e quando pioveva e pioveva, colava sempre un po' di ruggine che infiltrava la vernice, in genere di colore marrone scuro.
Alexei Antonov |
Al colore ed al profumo e al tatto avrei voluto aggiungere il gusto ma non mi sono mai permesso di farlo. Di fronte a quel profumo ferroso, aspro e caldo al tempo stesso. Di fonte a quell'odore antico ed amico, avrei voluto unire il sapore, assaggiandolo. Non l'ho mai fatto. Schizzinoso, pauroso di prendermi chissà cosa, ho solo immaginato che potesse avere un sapore altrettanto aspro. Come quando si mette in bocca un ferretto. Quasi pizzica.
Philip Barlow- South African artist |
I finestrini erano anch'essi stretti e si abbassavano tirando verso il basso una maniglia in alluminio che era posta sulla parte alta del vetro. Esisteva una sorta di crimagliera ai lati con delle pinze che permettevano di regolare l'altezza del vetro e poi un fermo, alla base dello stesso, che consentiva di bloccare l'apertura. In basso, sul bordo del finestrino trovavi una traghettina in alluminio stampato che ammoniva in quattro lingue che non si dovevano gettare oggetti dal finestrino. Era il primo contatto con una lingua straniera scritta.
Meredith Frampton |
Amavo, come amo ancora, arrivare presto. In anticipo sulla partenza del treno. Per fare con calma. Per potermi gustare la stazione, magari con un libro in mano da leggere in modo distratto e occasionale. Un momento di lettura e uno sguardo intorno. E il bello della coincidenza era proprio questo. Il tempo che ti veniva concesso per pensare, riflettere, leggere, osservare e conoscere meglio quella realtà che ti circondava.
Louis Anquetin - Portrait of a Woman - 1890 |
Esiste un vechissimo film di Jacques Tati che inizia con la ripresa di una partenza in stazione. Con il travaglio dei villeggianti con valige e quant'altro si può portare in vacanza. Con la difficoltà del cambio di binario e dei sottopassaggi con le relative scale e poi con la salita sui predellini per entrare nelle carrozze. Per non parlare delle voci degli annunci che venivano trasmessi dagli altoparlanti.
George Clausen - Portrait of a Young Girl - 1884 |
Ho negli occhi gli sguardi di chi aspetta e di chi si affaccia dai finestrini. Di chi cerca il binario e guarda l'orologio e di chi sorride all'arrivo, incrociando un viso amico. Di chi si abbandona sulla panchina e fuma la sigaretta e di chi chiede di accendere. Di chi si sorprende e di chi si arrabbia. Di chi si stringe ad un altro e si abbandona ad un bacio e di chi accarezza. Un universo che cammina, corre, si siede, mangia, parla, strepita, litiga, sorride e sputa e si affatica. Noti e ignoti.
Armin Hansen - Hazel Jenssen on the Beach - 1919 |
Soundtrack: Grails - The Burden of Hope
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