Ma devo vivere cosí perché? Per aspettarmi che cosa? Per conservarmi a che cosa per cui io debba rinunciare a quello che voglio, sacrificare quello che per me sarebbe la vita?
No, il mondo è il mio mondo e nel mio mondo sono «io» il primo e l'ultimo, non trovo niente di fatto prima di me, non mi posso affidare che niente venga fatto dopo di me, ma devo prender su di me la responsabilità della mia vita come la devo vivere, che su altri non può ricadere; aver io stesso in me la sicurezza della mia vita che altri non mi può dare, creare io il mondo come io lo voglio, che prima di me non esiste: devo essere padrone e non schiavo nella mia casa.
Aver fatto non mi giova ma fare, in qual modo lo faccio, poiché non c'è premio dagli altri, che non sono per me, né dalla cosa fatta, che com'è fatta cosí non è, ma per giungere a fare tutto in un punto: in questo vivendo in tutte le cose tutto me stesso, poiché io sono il primo e sono anche l'ultimo.
Cosa che mi possa fare diverso da quel che sono non esiste, che mi potrebbe togliere di continuare in ciò e per ciò che non esiste, ma non potrebbe mai togliermi il mio mondo: che duri un anno o un secolo sarà stato sempre lo stesso.
Carlo Michelstaedter
Lettera alla famiglia del 30 marzo 1909 - in Scritti vari in Opere, Firenze 1958, pp. 744-745;
Oskar Kokoschka - Victoria De Montesquiou Fezensac -1910 |
Desiderava dunque fuggire da un qui-ed-ora in cui si doveva subire la volontà di un Assoluto imperscrutabile, per annullarsi e diventare egli stesso assoluto.
Trasferitosi a Firenze vi frequentò la facoltà di lettere. Terminata nella città natale (ottobre del 1910) la stesura della tesi di laurea (La persuasione e la rettorica) decise di porre termine alla sua fatica di vivere con un colpo di rivoltella.
Soundtrack: Claude Debussy - Arabesque #1
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