Monday, October 14, 2013

Ou commence l'ecriture? Ou commence la peinture?

Artemisia Gentileschi - Pisa
Si chiama e si chiamava, forse di più una volta, calligrafia. Un gesto elegante che aveva una duplice espressività: simbolica di linguaggio secondo un modello di convenzione e visiva di segno su un mezzo modificabile, impressionabile (carta, tela, pietra, ecc ...).
Soundtrack: Philippe Jaroussky - Ombra mai fu - Händel - Serse

Oggi vive l'aspetto funzionale, come un certo (da me non amato) stile architettorico che nasce e muore in un ambito rigoroso di essenziale significato pratico. Eppure, l'uomo, la sua fantasia, l'essere mente più che braccio, trasforma qualsiasi cosa in un viaggio che va dalla funzione alla finzione. Dalla realtà verso la fantasia. Come dire, dalla terra alla luna.

Oggi però vive l'importanza del significato, non certo disgiunto dalla chiarezza formale che richiede di essere comprensibile veicolo di trasporto di idee. Quindi, una standardizzazione del gesto e per questo una sua uniformità secondo un format unico, condiviso, quasi universale. La scittura non manuale. La scrittura in stampatello. La digitoscrittura. Fredda, meccanica, anonima.
Video: Zen Calligraphy

Dov'è quindi finito il bello scrivere? Inteso non solo formalmente ma come espressione di eleganza dotta, istruita, di esercizio ad una compostezza e chiarezza e bellezza? Dove sei finito, tratto sottile e spesso, alternati in un fraseggio perfetto?

Se il segno deve accompagnare, come espressione secondo un codice, un pensiero, dovrebbe quantomeno esserne gemello in tutto e non sembrare antitetico. E infatti, si può tracciare l'animo, la condizione di spirito, attraverso le sfumature o anche i segni macroscopici rilevabili nel gesto scritto.
Soundtrack: Japanese music

Chi può dire di avere sempre la stessa scrittura? In ogni momento della propria vita? In qualsiasi stato d'animo? Invece la scrittura mediata da una macchina, dattilografata, è capace di nascondere l'emozione che fa tremare la mano. Tutto il significato risiede nella parola, nel suo valore e nella composizione di una frase. Non nel tratto a sottolineare l'emozione.

Tutto risiede, dicevamo, nella presenza di tutti i componenti sintattici o anche nella loro assenza. Ecco che il gesto perso nella grafia artificiale riprende vita nella sintassi. Interrotta come il singhiozzare, muta come il silenzio, tronca come nella parola che si interrompe per rabbia o per dolore, ripetiva come nel balbettare emotivo.

Anche se affido i miei pensieri alla tastire di un computer, ritorno al segno grafico tracciato dalla mano. Ritorno alla matita che modula il tratto da sottile a inciso, secondo un'involontaria guida emotiva. Ritorno alla carta che trattiene il segno per tutto il tempo che dura un'esistenza, per potere essere letta, lei scritta all'inizio, ancora fino al termine della vita.

Amo il gesto grafico e mi avvicino al Giappone dove scrivere e dipingere sanno essere anche la stessa cosa. Favoriti dall'alfabeto simbolico ma anche da un'amorosa tradizione all'eleganza e alla sfumatura nel contempo.
Soundtrack: Chet Baker Live at Ronnies Scott's

Gesto che si continua senza interruzione, guidato dall'inizio e non correggibile in itinere. Una pittura alla prima. Come per l'acquarello che non ammette errore. Gesto non ripercorribile e quindi traduzione esatta del pensiero e del sentimento momentaneo che ne ha prodotto il contatto con la carta.

Un modo di esprimere un sentimento contemporaneamente secondo due valori, quello simbolico codificato e quello pittorico emotivo. Capace di esprimere anche il silenzio, il nulla. Perché il nulla non può essere definito da una sola parola ma richiede sfumature, ombre, tratti incisi e accennati. In un colpo solo. Perché non vuole neppure troppe parole.


Soundtrack: Les Feuilles Mortes - Iggy Pop

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