Lungo un percorso assai caro che mi porta a trovare dove riposa la mia mamma, circondato da campi coltivati e non e da alberi e da papaveri, ecco che ho letto tante volte che di lì passava la via Francigena. Quante volte mi sono chiesto di cosa si trattasse? Quante volte mi sono dimenticato di cercare di sapere. Quante volte facciamo così? Dimentichiamo di cercare e ci buttiamo nelle contingenze. Dando a queste un'importanza superiore alle nostre domande interne. Ora ho voluto cercare.
Fidenza - Duomo |
La
Via Francigena è il percorso di pellegrinaggio che nel 990 il Vescovo di
Canterbury Sigeric descrisse nel suo diario di viaggio e che portava fino a
Roma attraverso il territorio lombardo in terra pavese.
Nel 990 l'arcivescovo Sigeric partì da Canterbury
alla volta di Roma per ricevere il "pallium". Dal IX secolo infatti,
era stato introdotto l'obbligo per l'universalità degli arcivescovi
metropolitani di venire a Roma per ricevere direttamente dal papa il pallium,
una semplice veste di lana ornata con la croce che simboleggiava una sorta di
vera e propria investitura. Nel corso del suo viaggio di ritorno, Sigeric
scrisse un diario di viaggio lungo la Via Francigena, indicando in modo preciso
le 80 submansiones, cioè le tappe di sosta tra Roma e il canale della Manica.
Velocità di marcia
Sembra che una guarnigione romana
impiegasse un mese per raggiungere la Britannia dai confini dell’Impero del
tempo di Augusto, anche se furono ben pochi i soldati romani stanziati in
Inghilterra. Roma reclutò principalmente Galli e Germami, e persino Siriaci sia
per l’invasione claudiana sia per i presidi). Questo ritmo di marcia risulta
plausibile; ma sia oggi che in epoca romana, le strade erano in migliori
condizioni di quelle calcate da Ceolfrid, Alcuino o Sigeric.
Mentre a piedi si percorrevano,
in pianura o in collina, da 30 a 40 km al giorno, a cavallo se ne coprivano 50
o 70; le staffette, naturalmente, ne percorrevamo assai di più. I
1600 chilometri - o se si preferisce le mille miglia - che separano Canterbury
da Roma, potevano esserE difficilmente coperti in quattro settimane a una media
di 51 km al giorno col mulo di un arcivescovo.
Coloro che riuscivano a coprire
la distanza in sette settimane - alla media di 32 km al giorno - dovevano
essere ben pochi. Un arcivescovo o un abate, che viaggiassero assistiti a una
folta schiera di chierici, monaci, guardie e servi, la maggior parte dei quali
a piedi, gli altri su muli - raramente a cavallo - dovevano impiegare mesi per un
viaggio di andata e ritorno a Roma. Come
Ceolfrid anche Sigeric avrà fatto soste prolungate presso città, monasteri e
palazzi situati lungo la strada o in prossimità di essa.
Un viaggio del genere
non si compiva spesso nella vita e quindi si coglieva l'occasione per visitare luoghi e persone
importanti. Se Sigeric impiegò almeno quattro mesi per il viaggio, rimanendo
solo tre giorni a Roma, sappiamo da Beda che
Ceolfrid impiego 114 giorni per andare da Jarrow fino a Langres, dove morì.
Lasciato il suo monastero il 4 di giugno, l'abate giunse infatti a Langres il
25 settembre, dopo aver attraversato il Canale sbarcando sulla costa Francese a
Quentovic, entro l’estuario del fiume Canche.
E’ per puro caso che conosciamo in
dettaglio l’itinerario romano dell'arcivescovo e che abbiamo i nomi di 79 delle 80 submansiones con tutta probabilità, i
pernottamenti del suo viaggio di ritorno verso Canterbury. Le tappe del percorso
sono state trascritte da mano ignota in appendice a un elenco di papi del X
secolo conservato nella British Library di Londra. Sigeric non e’ una
personalità storica di spicco, la sua firma ricorre soltanto su pochi documenti
di secondaria importanza. Tuttavia ai suoi tempi egli ottiene un certo rilievo
come intellettuale. Colto,
amante e patrono delle lettere, Sigeric raccoglie una considerevole biblioteca
che, per testamento, lascia alla cattedrale di Canterbury. Sigeric muore il 28
ottobre 995, quando le Cronache registrano come "Nell'anno 995 comparve la stella
chiamata 'cometa' (che significa 'dai lunghi capelli') e l'arcivescovo Sigeric trapassò;
Aelfric, vescovo del Wiltshire fu scelto a succedergli" .
La strada era nata dall'esigenza dei Longobardi di
collegare Pavia, capitale del loro regno, con i ducati meridionali di Benevento
e Cassino attraverso un corridoio interno che fosse protetto da eventuali
attacchi bizantini, padroni del litorale toscano, delle coste liguri,
dell'Umbria e degli sbocchi appenninici orientali.
Sigeric, raggiunte Ivrea ed Aosta utilizzando il
percorso della strada romana , attraversò le Alpi valicando il Gran San
Bernardo ove sorgeva un importante ospizio e raggiunse Losanna, Besancon e,
dopo aver percorso la fiorente Champagne, regione particolarmente rinomata per
le sue fiere, toccò Reims ed infine Calais, dopo circa ottanta giorni di
viaggio.
Summoner-of-Storms-by-Sarah-Ann-Wright |
L'attraversamento del passo del Gran San Bernardo è
attestato anche dall'itinerario compiuto da Nikulas di Munkathvera, un monaco
islandese che, tra il 1151 ed il 1154, intraprese un lungo cammino che lo
condusse dapprima a Roma e poi in Terrasanta.
Dalla fine del XII secolo le fonti itinerarie
attestano sensibili modificazioni del tracciato della Francigena e ne
documentano la sua progressiva ramificazione. Più che di una singola strada ci
si può riferire ad un "fascio di strade " che correvano parallele o
si intersecavano con il percorso originario.
Infatti, la grande fioritura e l'ampliamento dei
traffici commerciali del Duecento favorirono l'affermarsi di itinerari
alternativi che spesso si sostituirono, almeno in parte, a quello della
Francigena. E' il caso per esempio dal ruolo svolto dalla città di Firenze che
sposterà l'asse delle comunicazioni con Roma dalla Valle dell'Elsa a favore del
proprio territorio. La direttrice Bologna - Firenze - Siena - Roma negli ultimi
secoli del Medioevo, continuerà ad essere denominata "Romea" o
"strada regia romana ", segno che la destinazione finale, Roma, era
divenuta prioritaria rispetto a quella settentrionale. Ma la Francigena o Romea
non era solo la strada dei pellegrini Romei : nei numerosi ospizi ed ospedali
sorti lungo il cammino, transitavano anche coloro che si dirigevano verso la
Terrasanta e Santiago di Compostella.
Per
convenzione internazionale, nel 1994 la Via Francigena è diventato itinerario
culturale europeo e rappresenta uno dei tre pellegrinaggi verso i luoghi santi
della religione cristiana: Roma, luogo del martirio dei Santi Pietro e Paolo,
Santiago de Compostela, dove l'apostolo San Giacomo aveva scelto di riposare in
pace, e Gerusalemme in Terra Santa.
Il
tratto lombardo della Via Francigena, che in Italia collega il Gran San
Bernardo con Roma, è inclusa nel territorio pavese e attraversa Robbio,
Mortara, Garlasco, Pavia, Belgioioso, Corteolona, Santa Cristina e Bissone e
Chignolo Po.
L’Alta
Lomellina
Lasciata
Vercelli, la via Francigena si dirige verso Pavia. Palestro è il primo
centro lombardo che si incontra, con la sua Chiesa di S. Martino, romanica,
ampliata nel XIV secolo e in seguito rimaneggiata e le rovine residue del
castello (XII secolo), originariamente a sei torri, attorno al quale si
sviluppava l’antico borgo.
Nel
centro successivo Robbio, forse la romana Retovium, sopravvive un
castello ampiamente rimaneggiato nel tempo e oggi trasformato in abitazione
privata. Il castello originario, detto dell'Arca, fu il fulcro delle lotte tra
Vercelli e Pavia. Il baluardo più importante del complesso è il maschio
quadrangolare posto quasi al portone d'ingresso.
San Valeriano - Robbio |
La
fortificazione, a forma di U, comprendeva anche altre costruzioni come il
"dosso del ricetto" che fungeva da ricovero per gli abitanti in caso
di estrema difesa, e i quartieri, cioè gli alloggi del piccolo presidio locale
in tempo di pace.
Originariamente
costruita nel XI secolo ma successivamente rimaneggiata nel Trecento è la
chiesa di S. Valeriano. Invece, del XIII secolo è la chiesa di S. Pietro in
cotto con portale ed affreschi interni del XV secolo, mentre la chiesa di S.
Michele risale al 1400.
Di
una storia diversa riferisce invece il tradizionale Palio dl’Urmon, in settembre, nato per ricordare un gigantesco
olmo (urmon appunto, simbolo della comunità robbiese per generazioni),
abbattuto nel 1985.
Il
diario del X secolo dell'arcivescovo inglese Sigeric segnala Tromello
come tappa di sosta successiva a Vercelli lungo la Via Francigena, la più
importante strada di collegamento nel Medioevo tra i territori della Francia e
Roma. Tromello si trova a circa 12 chilometri
da Mortara. Nel rione chiamato Dosso o Borghetto si trova l'antico nucleo nel
quale poteva sorgere l'ospizio di Sigeric. Oggi, l'unica testimonianza di un
passato di guerre e di dominazioni straniere, è il "torrione"
seicentesco ; del castello non resta nessuna traccia.
Prima
di arrivare a Mortara la strada antica doveva transitare per Madonna del
Campo in cui sorge l'omonimo santuario. La sua esistenza è attestata, con il
nome di S.Maria della Pertica, fin dal 1145. Dell'edificio originario,
restaurato e rimaneggiato già nel XV, rimangono le colonne del tiburio e alcuni
tratti di muratura. Nella facciata, il portone ed il rosone sono decorati in
cotto. L'interno è articolato con otto cappelle e presenta affreschi del XVI-
XVII secolo.
Secondo
una leggenda, Mortara venne fondata
dopo la vittoria conseguita da Carlomagno contro Desiderio nel 773. Vi si
sarebbero insediati i Longobardi abitanti della distrutta cittadina di Pulchra
Silvia. Assai più probabile, però, è che Mortara sia di origini protostoriche,
divenuta poi forte romano. La
più antica è la chiesa di S. Croce del 1080, rifatta nel XVI secolo. La
basilica di S. Lorenzo, patrono di Mortara, è il principale monumento
cittadino. Costruita nel 1380 e restaurata nel corso del nostro secolo,
conserva opere d'arte del XV e XVI secolo.
Sant'Albino - Mortara |
Appena
fuori Mortara, sorge l'abbazia di S. Albino, fondata nel IV secolo da
Gaudenzio, vescovo di Novara e, ricostruita, sembra, da Carlomagno, dietro
consiglio di Alcuino, per farne un mausoleo per i Franchi caduti nella
battaglia di Pulchra Silvia. In essa, sotto l’altare, trovarono pace le spoglie
di Amelio e Amico, due paladini franchi, venerati poi come santi.
Il
monaco Albino Alkwin, consigliere di Carlo Magno fondò accanto alla chiesa un
convento che fu dedicato dai primi monaci, francesi e di regola agostiniana, a
Sant'Albino di Angers. Posto sotto la diretta giurisdizione del papa, il
monastero godette grande fama nei secoli ed ospitò celebri pellegrini come papa
Giovanni VIII, Filippo di Francia, S. Francesco d'Assisi, S. Carlo Borromeo.
Il
passaggio dei pellegrini è documentata anche dai segni incisi da vari
pellegrini su una parete dell'interno, uno di esso è datato 1100: l'abbazia di
S. Albino, infatti, rappresentò nel Medioevo una tappa spirituale per i devoti
che si recavano a Roma provenendo dalla Francia.
Sant'Albino - Affreschi |
L'attuale
facciata rinascimentale fu costruita dopo il crollo della facciata romanica e
della navata avvenute nel 1539; essa è completata è completata da un portico ad
un lato del quale è addossato un fabbricato che forse apparteneva all'antico
convento di cui rimangono resti del chiostro. Di epoca romanica sono l'abside e
il campanile quadrato con muri muniti di feritoie. All'interno della chiesa si
conservano pregevoli affreschi del XV e del XVI secolo.
Dopo Groppello sarà il caso di
spiegare l’etimologia di un paese ormai alle porte di Pavia, San Martino
Siccomario (chiesa del XII secolo dedicata al protettore dei viandanti), ebbene
l’attributo deriva da “Sicut Mare”, come il mare, in quanto spesso e volentieri
le sue campagne erano il campo di scorreria del Ticino in piena.
A
Pavia, oltre al castello visconteo, San Pietro in Ciel d'Oro, la pinacoteca
Malaspina, il Duomo, San Michele Maggiore, San Teodoro, il ponte coperto sul
Ticino, bisogna concentrarsi sulla Certosa che è un esempio pregevole dell'arte
lombarda del sec. XV, voluta da Gian Galeazzo Visconti nel 1396.
Certosa di Pavia |
E'
citata come "mansio" cioè punto di sosta anche nell'Itinerario
Burdigalense, diario scritto da un anonimo pellegrino nel 333 di ritorno dalla
Terrasanta. I sepolcreti, le iscrizioni, la massicciata stradale, un pavimento
di stile pompeiano sono le testimonianze più significativi del periodo romano;
sono attualmente custoditi nel Municipio sito nel restaurato castello
quattrocentesco.
Notevole
è il complesso della basilica di S.Maria maggiore del X-XI secolo accanto alla
quale sorge l'ottagonale battistero di S.Giovanni ad fontes del X secolo. Romanica,
anche se restaurata all'interno nel 1950, è anche la chiesa di S. Michele con
abside del XII secolo.
Battistero di S.Giovanni ad fontes |
Per
recuperare la strada che stiamo percorrendo in direzione di Garlasco, paese
successivo a Tromello, vale la pena di attraversare Scaldasole le cui vicende storiche sono strettamente legate a
quelle del suo castello, un imponente edificio che domina l'abitato. Benché
appartenente agli edifici costruiti a scopo difensivo nel XV secolo dai
Visconti, l'aspetto è quello di una residenza piuttosto che di un severo
maniero.
Del
castello di Garlasco, uno dei più
importanti della Lomellina, è rimasto solo il torrione, adibito prima a
magazzino, poi a carcere e ora in fase di ripristino. La chiesa parrocchiale,
dedicata alla Beata Vergine Assunta e a S. Francesco Saverio, venne edificata
sull'area dell'antica chiesa di S.Maria intra Muros di cui rimangono l'abside,
la base del campanile ed alcuni affreschi quattrocenteschi.
A
un chilometro dal paese si trova l'edificio religioso più noto perché meta di
pellegrinaggi, il Santuario della Madonna della Bozzola, cosi' chiamato perché
era circondato da siepi di biancospino, in dialetto "bousslon", da
cui il nome di "Bosla". La tradizione vuole che sia stata eretta sul
luogo in cui, nel 1462 la Madonna fosse apparsa ad una bambina muta mentre
conduceva il suo gregge a pascolare.
Castello di Sartirana |
Il
castello di Sartirana invece venne edificato alla fine del XIV secolo da
Jacopo dal Verme su ordine di Gian Galeazzo Visconti e per dimensione e
complessità costituisce l’edificio fortificato più importante della zona.
A
Groppello Cairoli si trova l'antica rocca (il borgo è già citato in
documenti del X secolo) poi ampiamente rimanegiata. Il massiccio castello è
formato da due corpi a forma di L; la facciata principale, a lato della quale
si erge un torrione, era forse anticamente ornata da una merlatura.
La
Francigena segue ora il percorso dell'antica strada romana e corre verso est,
parallela al fiume Po.
Bordone per sostenersi, la bisaccia
in pelle per il pane, la zucca come borraccia ed eventualmente la conchiglia
per raccogliere l’acqua il pellegrino dopo Pavia, passando per l’abitato di San
Pietro, puntava verso Piacenza attraverso il porto fluviale Ad Padum di Corte
Sant’Andrea Calendasco. Sono 42 chilometri circa. Si attraversano nell’ordine
(rifacendosi un po’ alla via regia longobarda un po’ gli antichi tracciati
dalla Via levata) Motta San Damiano (chiesa romanica con ospedale questa volta
degli Olivetani prima, e dell’Ordine di
Malta, poi), San Leonardo, Ospitaletto Linarolo (nome omen).
A
circa tre chilometri a sud-ovest, in direzione del Po e poco prima di Linarolo (!) si trova la località di S. Giacomo della Cerreta con il famoso oratorio
di San Giacomo, un autentico florilegio di immagini del santo con la firma per
alcuni nientemeno che di Giovanni da Caminata (metà del 400). In questo
caso già la toponomastica può fornirci alcuni indizi: ci troviamo nelle
vicinanze di una importante strada percorsa da pellegrini che viaggiavano verso
Roma o, da sud a nord, verso Santiago di Compostela e, in questa località
troviamo un oratorio dedicato a S. Giacomo con annesso ospizio. S. Giacomo, le
cui reliquie in Galizia erano meta di pellegrinaggio da ogni parte d'Europa, è
rappresentato nei numerosi affreschi quattrocenteschi interni alla chiesa.
Sulle
pareti della chiesa si susseguono le immagini del santo in veste da pellegrino
con il tipico bordone (bastone), la mantellina corta ed il cappello a larghe
tese con la conchiglia, simbolo del pellegrinaggio. Il culto per S. Giacomo è
ancora molto sentito: la statua lignea del Santo, conservata nella chiesa, è
ogni anno in testa alla solenne processione che si celebra il 27 luglio, festa
di S. Giacomo.
La chiesa nel tempo è stata adibita
anche ad ospedale per colerosi e gli infermieri del tempo prudentemente avevano provveduto a
dare una mano di bianco calce ai pregevoli affreschi. L’ospizio era significativamente
intitolato al “barone per cui la giù si visita Galizia”.
A Belgioioso, si impone per la sua mole il
castello visconteo costituito da vari fabbricati di epoche e stili diversi. Il castello infatti è caratterizzato
da una parte originaria edificata per volontà di Gian Galeazzo Visconti attorno alla
seconda metà del Trecento, con la
facciata merlata ed il ponte levatoio, e di una villa settecentesca con grande
parco.
Attraversato
il fiume Olona, si giunge a Corteolona sede della corte regia in età
carolingia e successivamente dei re italici. In età altomedioevale la sua
importanza fu legata alla presenza del monastero dedicato a Sant'Anastasio, il
monaco martirizzato dal re di Persia Cosroe, insieme ad altri 70 cristiani.
Oggi, della chiesa originaria fatta erigere dal re longobardo Liutprando, non
restano che pochi frammenti. Altro elemento di pregio è la cinquecentesca
chiesa di Santo Stefano e il Castellero.
Santa Cristina - Abbazia ora trasformata in abitazioni private |
Segue il paese di Santa Cristina e
Bissone con la sua antica abbazia benedettina, fondata dal re longobardo
Liutprando nella prima metà del VIII secolo. Santa Cristina è la quinta essenza
del “villaggio strada”. La sua famosa, ed un tempo anche ricchissima abazia,
rientra nella politica dei monasteri attuata dai re longobardi allo scopo di
creare, lungo la Via del Monte Bordone, una catena di luoghi di preghiera ma
anche ospizi per i pellegrini.
A
Santa Cristina dove Sigeric ci segnala un punto di sosta esisteva questa
importante abbazia, documentata sin dal XI secolo, che ospitò personaggi
importanti come Corradino di Svevia. Di questa gloriosa abbazia non rimane
nulla di visibile; esiste solo un fabbricato chiamato Collegio che reca tracce
di fondamenta e murature del '700 e forse di epoche precedenti.
L’ultima
tappa della Via Francigena in terra pavese è Chignolo Po, nei pressi
della confluenza con il Po. Ai margini dell’abitato si trova il castello Cusani
Visconti, uno dei rari esempi di architettura neo-medievale del XVIII secolo.
Il
Castello di Chignolo Po venne eretto sui possedimenti terrieri donati
nel 910 da re Berengario ai monaci benedettini dell'Abbazia di S. Cristina.
Questi ultimi dal 910 al 1251 edificarono, all'interno del ricetto fortificato
ai piedi della Grande Torre, la "Fattoria Monasteriale". Questa comprendeva
le celle, i magazzini e le officine dei monaci, il fabbricato dei "famuli
supersedentes" cioè i coloni vincolati, l'orto dei semplici ovvero il
giardino delle erbe aromatiche. Nel 1251 il castello e tutte le sue proprietà,
per volere dell'abate di S. Cristina, divennero feudo di Uberto Vignati.
Ampliato
ed adibito a funzioni diverse nel corso dei secoli, oggi è possibile visitare la maggior parte dei corpi di fabbrica, il bellissimo parco
con il settecentesco Tempio di Cerere, alcuni locali interni abbelliti da
ricche decorazioni.
Castello di Chignolo Po |
Conclusioni: chi erano questi pellegrini?
Tutta gente ricca di una volontà di
potenza collettiva ed individuale, protesa al sacro (si provvedeva,
prudentemente, a dimenticare le cose terrene con un bel testamento prima del
viaggio) estranea a se stessa che, visivamente, già realizzava la Chiesa
militante su questa Francigena, una delle tante direttrici degli itinerari
delle fede europea. Le sacre vie erano “metafora dell’unità delle Res-Publica
christiana, una koinè di valori globali, dove tutto era simbolicamente e
misteriosamente raccolto nel tutto, dove la strada non era solo un mezzo si
comunicazione concreto”. “Questi uomini avevano fra le loro provviste anche e
soprattutto il timor di Dio. Erano spinti da quel clima fantastico di devozione
profonda che coinvolge la persona umana in tutti i suoi aspetti siano essi
spirituali, morali, intellettuali o fisici. Li attendeva il ristoro che dà la
fede in Dio; li aspettavano delle Mete che davano Certezze. Uomini intrepidi che viaggiavano
dentro e fuori del tempo; prima che sulle strade nella ricercainteriore della
propria anima. Li ricorda anche il grande Dante che dice nella sua Vita Nuova “chianmasi
romei perché vanno a Roma”.
E chi siamo noi?
Ancora pellegrini. In un mondo che corre senza lasciare il tempo di pensare. A chi siamo. Al perché siamo qui. A quali sono i nostri destini e i nostri compiti. Ecco, siamo tutti lungo una via. Protetti da vestiti da scarpe, con le nostre riserve di cibo e da bere. Tutto per il corpo. E per la nostra anima? Per il nostro spirito? Siamo solo materia? O ben altro...?
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