"Ascoltare e basta.
Vagare per le strade,
cogliere frammenti di parole sconosciute ...
poi ... arrivare qui e raccontare la propria anima al primo venuto."
Aleksandr Blok - La Sconosciuta
Quanto abbiamo bisogno di comunicare? Di esternare i nostri sentimenti, attraverso i pensieri e con le parole? Quanto ci preoccupa indirizzare tutto questo agli altri? Già, agli altri ... ma, a chi? Sono tutti uguali o siamo selettivi?
Chi scrive racconti, romanzi, poesie esterna agli altri in generale. Un uditorio grande. Interessa che chi legge/ascolta sia attento, o no? Cosa interessa? Ma, altrettanto, quando si muore dal desiderio di trasferire i nostri pensieri con le parole siamo realmente interessati a chi ci ascolta? O meglio, siamo interessati realmente che si venga ascoltati? O è piuttosto un desiderio egoistico, edonistico di esternazione? Io mi dispiego all'esterno ...
Si scrive per se stessi. Si dipinge per se stessi. Si compone per se stessi. E ci si proietta l'immagine di uditori attenti e rapiti. E noi, davanti a tutti. Io solo tengo le redini di 100, 1000, 10000, 100000, 1000000 persone. Migliaia, milioni di occhi su di me. Miliardi di cellule cerebrali attivate su di me. La grandezza immaginata, il delirio di potenza. Gli altri, gli altri, gli altri rapiti da me.
"E quando si trattava di parlare, ascoltavamo sempre con piacere ..." grande Battiato nella Prospettiva Nevskij ...
Non è così infrequente che ci si accorga di quanto chi parla, parla, parla, in realtà è tutto forché interessato ad essere ascoltato e ad ascoltare le reazioni che le proprie parole hanno sortito. Alla fine della conversazione il nostro pensiero, rivolto a chi ci ha inondati di parole, è "E' terribile. Non lascia parlare gli altri ... e non ascolta neppure. Vuole solo dirti ciò che pensa. Della tua risposta non gliene importa nulla !".
Questo, abbiamo detto, non è così raro ma mi sembra che tenda a diventare sempre più frequente. Quanto si sogna di incontrare persone che aspettano il proprio turno per parlare e amano ascoltarti. riflettere su ciò che dici e poi risponderti in modo attento e puntuale? Ma dove sono? Dove siete?
Ed allora sorge il pensiero, ma forse anche noi tendiamo a parlare e parlare e parlare senza lasciare spazio agli altri? Forse anche noi pecchiamo di eccessivo desiderio di esternare senza poi essere disposti a "pagare lo scotto" di ascoltare? Ma, quanto siamo soli per avere così tanto "arretrato" di pensieri da comunicare?
Eppure si vive in una società della comunicazione. Formale ma non concettuale. Si muore di comunicazione ma non è altro che "botta e risposta". Domanda e risposta. Un aspetto tecnico. Dove sono finite le belle lettere che aspettavano giorni e giorni per essere lette e che stimolavano risposte pensate, attente e colme di altruistico affetto?
Vorrei che la comunicazione informatizzata (email, sms, facebook, twitter, ecc ... ecc ...) si spegnesse per un discreto periodo di tempo per riabituarci a comunicare meglio. Per non essere così falsamente soli da credere di vivere in mezzo agli altri, insieme agli altri.
Soundtrack: Kompendium - Lilly
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