Daniela Perna |
Intenzione, da latino intendo, cioè tendo a o verso qualcosa.
E' l'essenza stessa della coscienza,
che è - infatti - sempre un tendere,
un essere intesa verso un qualcosa.
Secondo il linguaggio comune è l'espressione di un obiettivo
verso un fine, è il proporsi un determinato risultato.
E da questo sorge il problema morale,
cioè del giudizio nei confronti dell'intenzione.
Nel senso che, per giudicare un valore morale
è sufficiente l'intenzione o si deve necessariamente
considerare il risultato? Cioè l'effetto della stessa.
E d'altra parte, se l'intenzione non trova espressione operativa
Può rimanere priva del significato morale ....?
Qui si apre il concetto del "processo alle intenzioni",
spinoso politicamente ma realisticamente evidente.
Infatti, il pensiero in sè non porta necessariamente all'atto
ma è anche vero che l'atto non può esserci senza pensiero.
A meno che non si intenda la non volontarietà
anche se questa configura, legalmente parlando, la colposità
e non l'innocenza. Il "non volevo" non è sufficiente
perché non prescinde dalla responsabilità di un essere maturo.
E la maturità è il considerare tutti i possibili effetti
e le possibili conseguenze di un gesto,
indipendentemente dall'intenzionalità.
Indipendentemente dalla coscienza.
Il tutto fa ripercorrele le strade di Franz Brentano, uno psicologo, filosofo, prete cattolico che si allontanò dalla Chiesa (ma questo fatto è puramente un inciso). Secondo Lui, alla base di ogni fenomeno psichico esiste l'intenzionalità.
E l'intenzione è un tendere ad un oggetto immanente che quindi rappresenta l'obiettivo di ogni fenomeno psichico. Ne deriva quindi che poiché esistono diverse forme di intenzionalità, altrettanti sono i fenomeni psichici: la rappresentazione, il giudizio e il sentimento che si distinguono tra loro per la natura dell’atto intenzionale che li costituisce.
D'altra parte, tutto dipende dalla percezione che si ha dell'oggetto dell'intenzionalità e quindi dalla sua rappresentazione psichica che, come anticipato, può non corrispondere al reale oggettivo. Infatti, a parità di oggetto, ciascuno di noi reagisce con intenzionalità mediata dalla percezione dello stesso e quindi dalla sua rappresentazione psichica, indiretta.
E in questo, l'oggetto rappresentato dipende dal significante. E d'altra parte Lacan può essere derivato dalla fenomenologia di Husserli che è strettamente legato a Brentano.
Questo per dire che le nostre intenzioni possono essere falsate da una irreale rappresentazione dell'oggetto a cui queste tendono e che quindi la questione della moralità delle intenzioni è correlata alla moralità delle rappresentazioni che, a loro volta, dipensono dalle percezioni. Se percepisco male, rappresento male e guido male le mie intenzioni e quindi, di conseguenza, anchegli atti che compio saranno male.
Quindi, la responsabilità dove nasce se il mio sviluppo è condizionato dal male? L'educazione è quindi la base del tutto che modella la predisposizione ad un qualcosa o ad una essenza? Forse si ma è altrettanto sbagliato non considerare la responsabilità di un carattere che accetta una condizione, che la subisce e non si ribella sulla logica di un principio, di un credo.
L'uomo, in fondo, è artefice del proprio destino, in linea generale ...
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