Historia magistra vitae est diceva Cicerone nel De Oratore. Possiamo dimenticarcelo? Se è possibile/plausibile che sia così è però innegabile che non possiamo analizzare alcunchè se non consideriamo l'esperienza. Ma cos'è l'esperienza se non il vissuto affiancato dal giudizio? Senza giudizio non esiste esperienza. E il quotidiano deve essere filtrato dal passato. Un passato che abbia un substrato di riferimento. In questa logica i "Quaderni Piacentini" possono avere un significato. I «Quaderni piacentini» sono una rivista politico-culturale di sinistra che nasce nel 1962 come strumento di elaborazione, sviluppo e analisi delle idee del Movimento Studentesco. Di fatto, come si usava all'epoca, un luogo naturale di dibattito per una nuova sinistra apartitica. Questa esperienza editoriale (come si direbbe oggi) o meglio questi fogli di analisi e dibattito non può essere disgiunta - in quanto figlia di un'epoca - da altre riviste o stampe ideologiche-culturali e di analisi sociopolitica, come ad esempio Classe Operaia e Quaderni Rossi. Da queste però si differenziava, a mio avviso, per una sostanziale innovatività, per un minore pragmatismo oggettivo, per una maggiore tendenza ad una visione creativa. Per una obbligatoria, consapevole e ragionata volontà di non favorire/promuovere la divisione del movimento della sinistra in gruppetti ideologici.
Pergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi ne sono stati l'anima e la redazione di fatto. Gli articoli trattavano tematiche sociali, culturali e non solo politiche. Non esisteva solo la fabbrica ma anche il resto della società. La sensazione era di una voce che aiutasse ad interpretare in generale e non solo nello specifico. Palestra di idee. Tanti i nomi di chi scriveva articoli, recensioni, di chi proponeva dibattiti e analisi di confronto anche verso culture diverse, non solo italiane: Franco Fortini, Alberto Asor Rosa, Goffredo Fofi, Michele Salvati, Federico Stame, Renato Solmi, Luciano Amodio, Giovanni Giudici, Edoarda Masi, Francesco Ciafaloni, Roberto Roversi, Giancarlo Majorino, ecc ...
Negli anni settanta furono un'importante rivista di riferimento, poi i Quaderni Piacentini, finirono la loro esperienza con il 1980 per poi riprenderedal 1981 fino al 1984. Oggi si trovano usati (forse) mentre un libro riunisce alcuni articoli pubblicati (http://www.minimumfax.com/libri/scheda_libro/379).
Su questo link - http://filosofia.dipafilo.unimi.it/~zucchi/scarica.html - si può trovare materiale di approfondimento, tra cui una Lettera ad amici di Piacenza, 1961, di Franco Fortini.
Un breve cenno (suggerisco di leggerla tutta dal sito internet indicato) "… lo sviluppo neocapitalistico, oggi, apre nel nostro paese possibilità immediate per l’accrescimento della informazione e della cultura di massa e modifica le condizioni di studio e ricerca. L’interna dinamica di sviluppo dei consumi porta rapidamente le classi dirigenti a superare l’eredità premoderna. E’ l’operazione ‘Gattopardo’ su scala nazionale. Le riforme entro le strutture esistenti. L’Italia è già irriconoscibile. Il mantenimento di zone di arretratezza è necessario alla conservazione delle strutture e conferisce carattere obiettivamente conservatore al progresso delle zone più evolute…
… Tutta la nuova generazione di intellettuali trova o troverà opportunità di lavoro all’interno delle istituzioni culturali pubbliche o private (dall’ingegnere allo scrittore, dal biologo al regista) ma sempre in quanto tecnici: le prospettive non saranno loro a determinarle. Avranno il non-potere camuffato da potere. Immutata, o mutata solo per cooptazione, la classe politica. Il personale, filtrato dai partiti o dal parlamento. Assoluto il potere dei datori di lavoro privati (banca, industrie maggiori, editoria ecc.). L’ideologia della specializzazione-competenza serve a mascherare questa impossibilità di vere scelte-decisioni.
Il neoempirismo e neo positivismo volgarizzati sono destinati ad accrescere distanza e incomunicabilità fra specialista intellettuale e massa (anche quando quello sia parte di questa). Alienazione sul luogo di lavoro e fuori di esso (tempo libero). Strumentalizzazione della competenza dell’intellettuale per ribadire lo sfruttamento generalizzato (sociologi, psicologi, artisti, giornalisti, studiosi). Torna a riproporsi, sotto spoglia di funzionalità e possesso di una frazione di potere, la distinzione storica fra aristocrate-umanista (oggi tecnologo) e volgo. D’altronde il margine di autonomia illusoria che il relativo privilegio economico lascia allo specialista-intellettuale è bruciato dalla partecipazione all’imbestiamento collettivo nella città moderna (comunicazioni, trasporti, ritmo di vita), nei suoi consumi, nel ‘crollo generale degli standards culturali’.
Allo specialista-intellettuale non restano che soluzioni esistenziali-individuali, a carattere anarchico-estetico, misticheggiante, ipersnobistico eccetera...."
Un sottofondo musicale? Suggestivo, storico: http://www.youtube.com/watch?v=rA7YiAfGDGU
Chaïm Soutine (1893-1943) ou l’ordre du chaos: L'arbre couché, 1923-1924
Ed ora, come interpretiamo questo 2013? "Immutata, o mutata solo per cooptazione, la classe politica." Mi sembra di leggere un editoriale di stamane sulla Stampa in cui si fa una semplice constatazione: la classe politica in Italia viene cambiata non dalle Elezioni ma dalla Magistratura. Dunque non è da Tengentopoli ma è da ben oltre 50 anni che questo si ripete? Cambio o immobilismo non per Democrazia ma per altro ... (sic)
E ancora, "Il personale, filtrato dai partiti o dal parlamento" non è la realtà - ad esempio - dell'amministrazione pubblica? Dove il posto di lavoro è sempre stato considerato un mezzo per il politico di creare il proprio consenso elettorale e il concetto di "mi manda l'Onorevole" ha rappresentato il biglietto da visita per l'assunzione in alternativa ai titoli ed alla meritocrazia? Ah, la meritocrazia, ne parleremo assai di questa mera illusione ...
E, infine, tanto per concludere, "L’ideologia della specializzazione-competenza serve a mascherare questa impossibilità di vere scelte-decisioni.". Non è forse così ora più che mai? Nel pubblico, quanto nel privato? Tanti capetti, microcapetti e un solo direttore generale/amministratore delegato, ecc ... che decide per tutti. Una pubblicità di qualche anno fa, riferita ad un apparecchio per l'ufficio (una fotocopiatrice o una stampante o qualcosa di simile che non ricordo) recitava (a titolo chiarificatore del concetto di cui sopra): "L'amministratore delegato la vuole." Come dire, Ipse dixit. E tutti gli altri? Dal direttore amministrativo, al direttore dell'ufficio acquisti/provveditorato, ai vari capi dei diversi uffici/settori dell'azienda? Giù ad obbedire! Zitti! Questo è quanto succede, in effetti. Pseudo-poteri che stanno sulla carta e non valgono di fatto nulla. Eppure, i vari corsi di management parlano chiaro: ascoltare, condividere, lasciare autonomia di gestione (pur sotto controllo), ecc per non penalizzare/svuotare/deresponsabilizzare le fasce intermedie (la dirigenza intermedia, cosiddetta). Anche per consentire a queste di fare Team con la base. Nulla ... Allora, anziché unirsi in litanie autocommiseratrici, è forse utile riprendere in mano la storia e quanto si è scritto nella storia per farne tesoro e capire come muoversi al meglio. Il compendio al Capitale di Calro Cafiero, i Quaderni Piacentini, gli illuminati settimanali degli anni 70 (soprattutto quelli che ora non esistono più), le "Terze Pagine", e poi tanti e tanti scrittori ... E dopo, filtrare il presente alla luce del passato analitico, critico e delle esperienze vissute direttamente o indirettamente. E quindi, procedere con il confronto con gli altri perché non è da soli che si superano i problemi. Abbiamo bisogno di noi e degli altri.
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